Krizia, stilista che a 90 anni si sentiva sempre ragazza
Dall’Italia del dopoguerra ai grandi dell’arte mondiale La maestra con la frangetta che ha ridisegnato il gusto
C’erano tre argomenti di cui Krizia non amava parlare: la minigonna, che sosteneva d’aver lanciato negli anni 60 non meno di Mary Quant, il carattere fumantino, figlio d’un temibile perfezionismo, e (da almeno un paio di decenni) l’età, perché come spiegava «dentro resto la stessa ragazza entusiasta e curiosa».
Ora che Krizia, come tutti conoscevano Mariuccia Mandelli, bergamasca tosta classe 1925, se n’è andata l’altra sera per un malore, viene facile ricordare quanto temesse la pensione più che la morte e quanto avesse programmato di lavorare fino a 90 anni, obiettivo mancato di poco quando nel febbraio 2014 il suo marchio è passato ai cinesi di Shenzen Marisfrolg Fashion. Con lei esce di scena una capostipite del gusto italiano per lo stile (poi rubricato in Made in Italy), ma anche una figura femminile che ha saputo precorrere i tempi a prescindere dall’altezza dei tacchi e da certi dettagli aggressivi delle sue creazioni. Nello spirito, Mariuccia è stata un progetto di donna indipendente, determinata, fuori dagli schemi, fin da bambina quando, con pragmatismo lombardo, considerava la bambola un mini-manichino per testare la sua inventiva.
L’aspettativa dei suoi era farne una signorina di buoni studi (spedita in Svizzera) e pronta a un’agiata vita familiare. Invece, dopo qualche anno di maestra nelle brume di Cassano d’Adda e il trasferimento a Milano dove gira in Lambretta, cambia drasticamente direzione. Forse è proprio in quei pochi anni di sillabario e calamaio che Mariuccia, accompagnando le amiche a comprare abiti, e trovandoli quasi tutti orrendamente inadeguati, comincia la mutazione in Krizia, nome pescato dai dialoghi di Platone. Accantona dunque il progetto «signora maestra» e con l’amica Flora Dolci produce abbigliamento che regali un’aria più giovanile, ma soprattutto nuova, disinvolta. Sono gli anni 50, quelli delle speranze dopo la guerra. L’affascinante Mariuccia, già con inizio di frangetta, ma non ancora con i maxigioielli (soprattutto anelli) dopo imprescindibili, frequenta Brera incrociando artisti come Fontana, Guttuso e gente dello spettacolo come Gorni Kramer e Lelio Luttazzi. È proprio Luttazzi che trasferendosi a Roma le cede un appartamentino in via Mario Pagano che diventa il suo primo atelier. Da lì Krizia sale da sola la scala del successo: a fine anni 50 si butta sugli abiti con stampe di frutta poi ecco la fase del bicromico bianco-nero e via via, come nel caso degli hot pants, sempre con maggiore piglio imprenditoriale grazie all’incontro con Aldo Pinto, sposato in Giamaica, che diventa la sua devota anima sentimental-manageriale e che l’altra sera nella casa milanese le era accanto, anche se malato da tempo.
Stregata dal lavoro, ma con il debole della cultura, che non l’ha mai lasciata. A casa del regista Francesco Rosi, che aveva sposato sua sorella Giancarla, conosce Luchino Visconti e altri grandi. Coltiva cinema, letteratura, architettura e arte: nelle citazioni sui tessuti degli abiti (Schifano, Kandinsky) e negli incontri personali. Il suo ritratto multiplo firmato da Andy Warhol resta fra i più popolari dell’artista pop. Poi c’è l’impegno allo Spazio Krizia, nella sede di via Manin, aperta dalla stilista al pubblico, dove passano Arthur Miller, David Leavitt, Doris Lessing, Dario Fo, Ettore Sottsass, Susan Sontag e dove una certa Milano di buon cognome le si riunisce attorno per il concerto di Natale incluso panettone con crema al mascarpone e canditi.
Il mondo della moda non è tenerello, ma non le manca mai il rispetto perché Mariuccia è già Krizia quando gli altri cominciano a essere qualcuno: c’è una sua vecchia foto in piscina, in apparente atteggiamento
da maestra con colleghi fra cui Ferrè e Armani, che oggi così la ricorda: «Imprenditrice pionieristica, immaginazione inarrestabile, carattere forte, stilista ironica con gusto borghese e trasgressivo».
I momenti-no? Quando le fu contestato d’aver cavalcato la Milano da bere socialista, anche se lei spiegava d’aver incontrato Craxi solo alle prime scaligere. O quando è inciampata, con altri colleghi, nell’accusa di corruzione alla Guardia di Finanza nell’ambito di «Mani Pulite», salvo poi essere prosciolta completamente.
Non c’è intervista in cui non le sia stato chiesto se avesse nostalgia dei figli. «Sì — era la risposta — ma il lavoro mi ha distratto e non mi sono accorta che il tempo passava».
L’atelier e il nome Girava in Lambretta. Iniziò in due stanze cedute da Luttazzi. Il nome preso da Platone