Corriere della Sera

La vittoria di Giovanna d’Arco

Fiori sul palco e dieci minuti di applausi per l’allestimen­to verdiano Il pubblico premia la scelta del direttore, trionfa Anna Netrebko

- Giuseppina Manin

La Pulzella ha stravinto. Alla Scala come a Orléans, ha sconfitto non solo gli inglesi ma anche le paure degli attentati e le diffidenze di chi temeva un’opera «brutta» e invece ne ha scoperta una magnifica. E con lei vince Riccardo Chailly, che questa Giovanna d’Arco ha fortemente voluto per aprire la sua prima stagione da direttore principale. Trionfatri­ce assoluta Anna Netrebko, Pulzella poco santa ma molto umana. Al suo fianco il validissim­o Francesco Meli, Carlo VII, mentre Devid Cecconi si è trovato a sorpresa nel ruolo di Giacomo, sostituend­o l’indisposto Carlos Alvarez. E se l’è cavata benissimo. Alla fine dieci minuti di applausi per nel Palco Reale il sindaco Pisapia e il governator­e Maroni, tutti in piedi per l’Inno di Mameli eseguito dagli orchestral­i stavolta in frac anche in buca su precisa richiesta di Chailly. Molto apprezzato l’addobbo floreale, una cascata di gigli, omaggio a quelli dello stendardo dell’eroina francese. Ma poiché i veri profumano troppo, per non irritare le ugole dei cantanti ne è stata trovata una qualità inodore.

Il libretto sgangherat­o di Solera era il vero scoglio da affrontare. I due registi ne hanno fatto un punto di forza interpreta­ndo l’intera vicenda come parto di fantasia di una ragazza mitomane e allucinata. Un’altra Giovanna, tra follia e solitudine, paura e fanatismo, sullo sfondo cupo di un Ottocento bigotto. Così, quando si apre il sipario qualcuno pensa di aver sbagliato opera: la stanza piccolo borghese, la protagonis­ta agonizzant­e sul letto, il medico accanto, rimandano al finale di Traviata. Altra eroina verdiana che sognava l’indipenden­za e muore giovane e sola.

Ma il giaciglio di Giovanna somiglia più a un lettino da bambina, una ragazza di campagna con un padre possessivo e invasato, che per bambola le ha dato una statuetta della Madonna. In quelle mura claustrofo­biche lei gioca alla guerra, sogna «una spada e un cimier» per mettersi alla testa di eserciti, sconfigger­e i nemici. Così le dicono le voci che le rimbalzano in testa. Di sante bambine come lei, Caterina, Margherita. Forever young cozato me Giovanna. Un letto di morte ma anche di eros. I due motori di questa lettura che guarda alla psicoanali­si alle porte, alla scoperta dell’inconscio e dell’isteria. Un eros demonizvol­te da un padre tremendo, fuori di testa, ossessiona­to dalla purezza della figlia. Non a caso Chailly ripristina la versione originale del libretto, dove il padre Giacomo per tre la incalza: «Pura e vergine sei tu?». Domanda troppo esplicita per la censura austriaca, che impose un «Sacrilega sei tu?». Per i bacchetton­i del tempo, evidenteme­nte meglio sacrilega che non illibata.

Verdi, anticleric­ale fino al midollo, prende in giro quella sessuofobi­a malata con il valzerino ironico degli spiriti malvagi, che per convincere la Pulzella a darsi all’amato, un re tutto d’oro, l’avvertono: «Tu sei bella pazzerella! Se d’amore perdi il fiore, presto muore, non vien più». Blande tentazioni, da poveri diavolacci che, in un tripudio di natiche rosse e ali nere, invadono la scena. E mentre Giovanna si dibatte sul letto con Carlo, dietro scorrono le immagini delle sue fantasie, corpi nudi avvinti, carezze audaci.

Ma molesti e celesti, altri spiriti insistono perché la Pulzella desista dall’amore carnale. Il re tutto d’oro si allontana, la cattedrale di Reims sorge maestosa per l’incoronazi­one ma per lei c’è in serbo solo una croce. Immensa, da trascinare nel suo Calvario.

Capovolta, si trasformer­à nel palo a cui lei avvince, con i mobili della stanza accatastat­i sotto, in attesa del rogo. Ma Giovanna non morirà tra le fiamme e nemmeno, come vorrebbe Verdi, in battaglia. Stavolta se ne va divorata dalla consunzion­e, simile di nuovo a Violetta. Signora dei gigli prima della Signora delle camelie.

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