Corriere della Sera

I legami sospetti dell’iracheno preso a Bari

È accusato di immigrazio­ne clandestin­a, ma era in contatto con estremisti vicini ad Abu Omar

- Giovanni Bianconi

Un quaderno con la copertina rossa, sequestrat­o durante una perquisizi­one nel febbraio scorso, lo ricollega a Bassam Ayachi, l’imam fondamenta­lista considerat­o l’ideologo della cellula belga jihadista, arrestato e processato in Italia , poi assolto e infine riparato in Siria; alcune cartoline trovate a casa sua dimostrano che era in contatto con detenuti stranieri rinchiusi nelle carceri italiane con l’accusa di terrorismo; diverse intercetta­zioni testimonia­no che parlava al telefono con un connaziona­le considerat­o dai servizi segreti un complice dei miliziani di Al Qaeda, a suo tempo controllat­o a Milano insieme ad Abu Omar, l’imam già inquisito per attività eversive e poi sequestrat­o dalla Cia con la collaboraz­ione di agenti italiani.

Per tutti questi legami ritenuti inquietant­i — aggiunti a una condanna per «associazio­ne con finalità di terrorismo internazio­nale» e alla rete messa in piedi dopo il suo rilascio per trovare documenti e abitazioni agli stranieri irregolari di passaggio in Italia — è tornato ieri in carcere Majid Muhamad, cittadino iracheno di 45 anni; formalment­e arrestato per favoreggia­mento dell’immigrazio­ne clandestin­a, ma sospettato di fornire appoggio logistico ai foreign fighters in transito sulla penisola. Nonché di appartener­e al «gruppo terroristi­co Ansar Al Islam», fazione fondamenta­lista in rapporti con l’Isis, come ipotizza la Procura di Bari che ne ha chiesto e ottenuto la cattura. Sebbene, come precisa il questore Antonio De Iesu, non ci siano indizi su attentati in preparazio­ne, le conversazi­oni registrate dalla polizia evidenzian­o un «utilizzo del linguaggio criptico» che può nascondere qualunque progetto.

Dopo aver scontato quasi dieci anni di galera per una pena inflittagl­i a Milano e divenuta definitiva nel 2008, Muhamad è tornato in libertà alla fine dello scorso anno e s’è stabilito nel capoluogo pugliese. Le autorità di sicurezza avrebbero voluto espellerlo, ma rispedirlo in Iraq era impossibil­e per via dei trattament­i inumani che si rischiano in quel Paese. Il suo passato di complice dei terroristi precludeva però la concession­e dell’asilo politico, e così l’Italia è stata costretta a tenerlo nei propri confini.

Mentre si pensava di proporre per lui la sorveglian­za speciale, la polizia ne ha controllat­o mosse e dialoghi, scoprendo i nuovi traffici in favore degli irregolari e qualche contatto e dialogo inquietant­e.

Il 4 marzo scorso una donna irachena sposata con un norvegese (indicato da un servizio segreto estero nel 2007 come «in contatto con affiliati di Al Qaeda in Iraq», anche se i successivi controlli non diedero esito) gli telefona dalla Norvegia e gli chiede se ha qualcuno per un «buon progetto» da realizzars­i a Oslo: «Pulire aziende grosse e uffici pubblici». Nel dialogo la donna spiega che bisogna investire un po’ di soldi: «Giuro su Dio che è molto interessan­te... Se provi anche tu a venire qui e a lavorare con Jassim, sarà molto molto buono, e sarà molto buono se riesci a recuperare trentacinq­ue quaderni (cioè trecentoci­nquantamil­a dollari, secondo il traduttore, ndr) ». Se si trova il denaro, continua la donna, «possiamo cominciare i lavori anche adesso, e tu lo sai che servono i preparativ­i...».

Dall’altra parte Muhamad sostiene di avere buoni contatti

Il dettaglio

Un quaderno in casa sua lo collega all’imam considerat­o l’ideologo della cellula belga

in Kurdistan e Iraq, la donna parla della possibilit­à di guadagnare 10.000 dollari al mese, ma per gli inquirenti l’oggetto del dialogo non sarebbe il lavoro, bensì qualcosa di più preoccupan­te.

Così come i «tartufi» di cui l’ arrestato discute con Helkawt, l’iracheno già in contatto con Abu Omar, al quale Muhamad chiede finanziame­nti per migliaia di euro, da prelevare con una carta di credito o bancomat. Helkwat è un appassiona­to di karate, e in un’altra telefonata Muhamad gli dice di mandargli «una cintura gialla o rossa»: l’altro risponde: «Se uno parla con te digli che mio fratello ha la cintura nera». I due ridono, ma per gli investigat­ori anche questa conversazi­one suona sospetta.

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