In un angolo del backstage parlando di uomini, moda, Milano
Le chiacchiere alle sfilate, mentre controllava tutti gli accessori. L’amore per l’Oriente, dov’è finito il marchio
Si sedeva all’angolo del backstage, proprio accanto al grande tavolone degli accessori che puntualmente prendeva in mano, senza pietà: questo sì, questo no. Era diventato un rito. Prima di ogni sfilata. Da una decina di anni a questa parte. Chiacchiere su tutto: la collezione, le donne, gli uomini, la moda, le modelle, Milano. Dieci minuti al massimo, perché poi cominciava. «Vammi a prendere quello». «Non quello, quell’altro!». «Ecco sì».
Conosceva le uscite una ad una. «Ognuna deve vestirsi come vuole, purché il vestito diventi per lei come una seconda pelle» diceva. E faceva, per gli altri e per se stessa. «Proverei vergogna a dire alle donne vestitevi così», quindi alle regole rispondeva con i suoi «marameo»: sandali francescani al posto dei tacchi a spillo (1980), o gli hot pant «eleganti» quando tutti facevano le maxigonne (1971). Gli animali al posto delle righe (1968). Il plissé anziché i tessuti in sbieco (1978). Le forme geometriche preferite alle curve (1987). L’oro arrogante a ravvivare il tweed serioso (1977). Il cardigan di maglia sulla gonna da ballo (1967). La donna dandy al posto della pin up (1981). Non è un caso se gli americani la chiamavano: «Krazy Krizia».
Abiti per il giorno? Abiti per la sera? Macché. Chi ha tempo per queste cose? La moda di Krizia era per donne veloci, anarchiche, sicure. Nulla a che vedere con frou frou e fronzoli. Piuttosto rigore ed essenzialità. Che erano le immagini delle suore dell’ordine delle «Chères Soeurs» del collegio «Sagesse» dove era cresciuta a Bergamo. Ma anche estrosità improvvise prese da quella cultura (arte e pittura e letteratura e antropologia) di cui non riusciva a fare a meno. All’inizio (era il 1951) erano solo gonne, con l’amica e socia Flora, nelle due stanze prese in affitto in via Mario Pagano. Poi venne il resto, con l’influenza di culture illuminanti come l’Oriente che le entrò dentro con la scoperta dello sarong (Indonesia), dei kimoni (Giappone) e dei qipao (Cina).
Per tutto il suo immaginario, ma proprio tutto, laggiù Krizia era ed è un mito. Non è un caso se nel febbraio 2014 Zhu Chong Yun, ricca imprenditrice cinese, ha acquistato la griffe per includerla nel gruppo — Shenzhen Marisfrolg Fashion, cinquemila dipendenti — e da allora la pantera si è fatta araba fenice. A Krizia piaceva.