Corriere della Sera

In un angolo del backstage parlando di uomini, moda, Milano

Le chiacchier­e alle sfilate, mentre controllav­a tutti gli accessori. L’amore per l’Oriente, dov’è finito il marchio

- Paola Pollo

Si sedeva all’angolo del backstage, proprio accanto al grande tavolone degli accessori che puntualmen­te prendeva in mano, senza pietà: questo sì, questo no. Era diventato un rito. Prima di ogni sfilata. Da una decina di anni a questa parte. Chiacchier­e su tutto: la collezione, le donne, gli uomini, la moda, le modelle, Milano. Dieci minuti al massimo, perché poi cominciava. «Vammi a prendere quello». «Non quello, quell’altro!». «Ecco sì».

Conosceva le uscite una ad una. «Ognuna deve vestirsi come vuole, purché il vestito diventi per lei come una seconda pelle» diceva. E faceva, per gli altri e per se stessa. «Proverei vergogna a dire alle donne vestitevi così», quindi alle regole rispondeva con i suoi «marameo»: sandali francescan­i al posto dei tacchi a spillo (1980), o gli hot pant «eleganti» quando tutti facevano le maxigonne (1971). Gli animali al posto delle righe (1968). Il plissé anziché i tessuti in sbieco (1978). Le forme geometrich­e preferite alle curve (1987). L’oro arrogante a ravvivare il tweed serioso (1977). Il cardigan di maglia sulla gonna da ballo (1967). La donna dandy al posto della pin up (1981). Non è un caso se gli americani la chiamavano: «Krazy Krizia».

Abiti per il giorno? Abiti per la sera? Macché. Chi ha tempo per queste cose? La moda di Krizia era per donne veloci, anarchiche, sicure. Nulla a che vedere con frou frou e fronzoli. Piuttosto rigore ed essenziali­tà. Che erano le immagini delle suore dell’ordine delle «Chères Soeurs» del collegio «Sagesse» dove era cresciuta a Bergamo. Ma anche estrosità improvvise prese da quella cultura (arte e pittura e letteratur­a e antropolog­ia) di cui non riusciva a fare a meno. All’inizio (era il 1951) erano solo gonne, con l’amica e socia Flora, nelle due stanze prese in affitto in via Mario Pagano. Poi venne il resto, con l’influenza di culture illuminant­i come l’Oriente che le entrò dentro con la scoperta dello sarong (Indonesia), dei kimoni (Giappone) e dei qipao (Cina).

Per tutto il suo immaginari­o, ma proprio tutto, laggiù Krizia era ed è un mito. Non è un caso se nel febbraio 2014 Zhu Chong Yun, ricca imprenditr­ice cinese, ha acquistato la griffe per includerla nel gruppo — Shenzhen Marisfrolg Fashion, cinquemila dipendenti — e da allora la pantera si è fatta araba fenice. A Krizia piaceva.

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Coppia Krizia con il marito Aldo Pinto

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