I pellegrini dei cento chilometri: in cammino, come nel Medioevo
Accolti con un pasto e la lavanda dei piedi. Domenico, 82 anni: mi guidava Dio
Li disseteranno, gli daranno un pasto caldo e un letto; poi ci sarà la cerimonia della lavanda dei piedi («Certo ricorderà che, durante l’Ultima Cena, Gesù si alza, inizia a lavare i piedi ai suoi discepoli e, a quelli che lo osservano con stupore, dice: come ho fatto io, così farete anche voi...»).
Mancano ancora tre pellegrini e li aspettiamo al tramonto, in un cortile silenzioso e austero nonostante l’albero carico di arance e la bouganville in fiore arrampicata su un muro che confina con la Basilica di Santa Cecilia, a Trastevere.
Don Paolo insegna Teologia pastorale alla Pontificia Università Lateranense, ma è anche e soprattutto il cappellano dello Spedale della Provvidenza di San Giacomo e San Benedetto Labre della Confraternita di Perugia: il rifugio disposto ad accogliere i pellegrini di questo Giubileo straordinario solo a condizione che, durante il viaggio, «abbiano rispettato i severi canoni del vero pellegrinaggio».
I criteri di selezione sono scritti su un foglio battuto a macchina.
«Si accettano soltanto viandanti che dimostrino di aver percorso gli ultimi 100 km a piedi o gli ultimi sette giorni in bicicletta». «Chi arriva deve esibire la credenziale del pellegrino valida e normalmente rilasciata da un ente religioso». «Non si accolgono gruppi o comitive».
Poi, per essere più chiari: « Tipo di ospitalità: povera. Massimo numero pernottamenti: due per chi giunge a piedi e uno per chi giunge in bici. Prezzo: offerta libera». Rintocchi di campane. Una suora francescana del Cuore Immacolato di Maria cammina veloce verso il giardino con il rosario nella mano destra.
Bussano al portone di ferro massiccio. Sono arrivati. Va ad aprirgli Clara, una volontaria di 33 anni, infermiera a Torino, e la prima cosa che dice ai pellegrini è semplice e bellissima: «Benvenuti...».
Non ha il tono appiccicoso di una portiera d’albergo e non c’è — se è questo che immaginate — nemmeno un filo di certa retorica bigotta, della serie siamo tutti buoni e tutti ci vogliamo tanto bene: è invece un saluto spontaneo e gioioso quello che Clara rivolge a questi tre pellegrini esausti e barcollanti sotto il peso degli zaini ma pure visibilmente soddisfatti di avercela fatta, bastoni ancora stretti in pugno e sguardi complici, le scarpe con i tacchi consumati, le labbra secche, gli zigomi maltrattati dal sole e dal freddo.
Tutti e tre sono venuti giù percorrendo la via Francigena, l’antica via che nel Medioevo collegava Canterbury a Roma e che era percorsa anche da coloro che, dopo aver pregato sulla tomba dell’apostolo Pietro, poi proseguivano il cammino fino ai porti della Puglia, dove si imbarcavano per raggiungere la Terra Santa.
Mauro Piccirilli, 53 anni, ex artigiano, è partito da Siena e racconta di aver incontrato giusto fuori dal portone gli altri due: Domenico Del Barba di anni 82 e Antonio Bovo di anni 67.
Domenico e Antonio hanno viaggiato insieme. Partenza da Vercelli, all’alba dello scorso 21 novembre.
Domenico: «Sono un ex impiegato comunale di Piedimulera, in provincia di Verbania: ho una moglie, quattro figli, quattro nipoti e ringrazio il buon Dio di avermi dato la forza per arrivare fino a qui...».
Antonio: «Beh, la fede ci ha aiutato tanto. Quando dubiti delle tue forze, perché le gambe ti fanno male e hai il tallone pieno di vesciche... Quando ti ritrovi steso nel retro di una canonica che ti ospita e vedi con la coda dell’occhio un topo che ha deciso di dormire nel tuo sacco a pelo... Quando un temporale ti sorprende al centro di un bosco... Ecco, quando ti succedono cose così, vai avanti solo perché è il Signore che ti spinge... Un pellegrinaggio non è una forma di trekking, è fatica accettata per raggiungere una meta sacra» (e qui interviene polemico don Paolo: «Posso testimoniare che per molti dei pellegrini a cui diamo ospitalità, solo l’anno scorso 1.600, percorrere la via Francigena e giungere in Santa Sede è ancora un atto di fede: se invece penso a come si sia trasformato il Cammino di Santiago, che con i suoi 250 mila pellegrini è diventato qualcosa di esoterico, un’esperienza glamour...».
Antonio, Domenico e Mauro il senese vengono accompagnati su, al primo piano, dove ci sono due stanzoni: uno riservato alle donne, uno ai maschi. Ciascuno stanzone ha sei letti a castello. Quelli delle donne, vuoti: in quelli dei maschi, già altri cinque sacchi a pelo. Su una parete, un foglio appeso: «Dalle 22, silenzio e luci spente».
La volontaria Clara, intanto, è scesa in cucina. Menù della cena: pizzette rosse e olive, pasta e fagioli, insalata, frutta. Due bottiglie di vino rosso al centro del tavolone («Ma, stasera, massimo un bicchiere a testa, perché domattina dovremo essere in piazza San Pietro alle 6,30 in punto»). Il confratello Lorenzo, in un angolo, sta ultimando la costruzione del presepe. Da un altoparlante, «Astro del ciel».
Tra qualche minuto, la cerimonia della lavanda dei piedi.
Clara indosserà una cappa rossa medievale e prenderà tra le mani i piedi di chi ha camminato per due settimane percorrendo oltre 40 chilometri al giorno.
Un momento, spiega don Paolo, di lacrime e preghiere.
Ma noi siamo già fuori, nei vicoli di Trastevere, dove altri pellegrini affogano nel sugo all’amatriciana di bucatini fumanti, la paura del terrorismo e la vergogna per i propri peccati.