Il talk politico? Il genere non è ancora in crisi, si è solo «normalizzato»
Talk politici, crisi o «normalizzazione»? Alla fine di questa prima parte della stagione televisiva 2015-16 (e con la conclusione del primo «periodo di garanzia») è utile fare qualche bilancio su un genere di successo eminentemente nazionale, il talk politico, entrato in una fase nuova nell’«età del renzismo». La lettura prevalente — alimentata dallo stesso presidente del Consiglio con le sue considerazioni sugli ascolti di Rambo «che fa più ascolti di Giannini e Floris» — è stata quella della «crisi di un genere». Ma è veramente così?
Certo, non è dato ritrovare, nelle ultime due stagioni televisive, ascolti da «grande evento»: l’ultimo è stato quello che ha visto per protagonisti Silvio Berlusconi e Michele Santoro nel gennaio del 2013 (8.670.000 spettatori). Ma il genere, più che in crisi, si è «normalizzato»: i suoi programmi — più numerosi rispetto alla stagione berlusconiana — sono diventati un appuntamento fisso per un pubblico più delimitato ma fedele. La tendenza, in questa stagione, è anzi a una lieve crescita.
Se prendiamo infatti i sei talk di prima serata («Virus», «Ballarò», «Quinta Colonna», «Di martedì», «Piazzapulita», «La Gabbia») gli ascolti complessivi nel periodo di garanzia (da settembre a novembre) sono stati di 6.572.000 spettatori, contro i 6.391.000 della stagione scorsa. Una parte della recente, seppur lieve, crescita si deve anche all’interesse per le conseguenze degli attentati parigini. In ogni caso, il complesso dei talk tiene come genere (con le buone performance, in particolare, di «Quinta Colonna»: 1.369.000 spettatori, per una share del 6,6%) e si è indirizzato verso una più decisa «segmentazione» dei pubblici: più popolare, con una maggiore presenza di donne per Paolo Del Debbio; più maschile e colto quello di Corrado Formigli. E se i talk, finita l’età dell’oro, fossero diventati un programma come tanti? (a.g.) In collaborazione con Massimo Scaglioni,
elaborazione Geca Italia su dati Auditel