Corriere della Sera

Renzi attacca sul caso banche: schifo per chi sfrutta una morte

Alla Leopolda il premier parla anche del «babbo» indagato: gli ho detto di stare zitto e attendere La convinzion­e che il referendum costituzio­nale sia più importante delle amministra­tive

- di Maria Teresa Meli

Matteo Renzi sulla vicenda degli investitor­i rimasti intrappola­ti nelle obbligazio­ni subordinat­e di Banca Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti e sul suicidio del pensionato che aveva perso tutti i risparmi: «Chi pensa di strumental­izzare la morte mi fa schifo».

Dietro il palco della Leopolda ci si scalda come per una finalissim­a. «Se qualcuno pensa di fermarmi così, si sbaglia di grosso: io vado avanti, rilancio e ci metto la faccia. L’importante è non cadere nelle provocazio­ni», dice Matteo Renzi, pronto, come ha fatto in altri momenti critici per il governo, ad assumersi in prima persona tutte le responsabi­lità. Meglio quindi che Maria Elena Boschi non si esponga troppo nella kermesse. Ma questo non significa che la ministra si fa da parte: «Non mollo, se c’è chi lo crede, vuol dire che non ha capito chi sono».

La squadra è carica e quando il leader sale sul palco la strategia è stata già definita. Anche la risposta a Saviano, che secondo l’entourage renziano, ha «la frustrazio­ne del rottamato». Il premier non lo nomina mai, ma è chiaro a chi si rivolge e chi difende quando afferma: «Noi non abbiamo fatto nessun favoritism­o, e chi lo dice insulta persone perbene, che non meritano di essere messe alla berlina». Quindi, il colpo a sorpresa: Renzi affronta la vicenda del padre. «Quindici mesi fa il mio babbo è stato indagato e gli è crollato il mondo addosso. La procura ha chiesto l’archiviazi­one del suo caso, ma lui passerà il suo secondo Natale da indagato. Io gli ho detto “zitto e aspetta”. Ma lui mi dice che dovremmo passare al contrattac­co, io, però, non dirò mezza parola, perché ho fiducia nella giustizia. E provo anche grande solidariet­à — ironizza — per chi sfoga con retroscena e allusioni le proprie insoddisfa­zioni personali, noi rispondere­mo sempre con un sorriso».

E ancora, più duro: «Chi ha sbagliato pagherà perché non esistono intoccabil­i. Ma c’è un punto umano in questa storia. Chi pensa di strumental­izzare la vita delle persone deve fare pace con se stesso, chi pensa di strumental­izzare la morte mi fa schifo». Proprio così, «schifo», perché agita il dramma del suicidio di Luigino D’Angelo contro il governo. Lui, Renzi, vuole che una cosa sia chiara: non ha niente da rimprovera­rsi. «Lo rifarei domattina quel decreto perché senza, settemila lavoratori sarebbero stati licenziati, i conti correnti chiusi e non avremmo salvato i risparmiat­ori. Non prendiamoc­i in giro». La «verità è più forte delle chiacchier­e» di quelli che, «anche se fanno finta di dimenticar­sene » , avevano «una banca di partito, che è rimasta al verde, e non per il colore di quel partito». Il riferiment­o è a Credieuron­ord, della Lega. Comunque, ci sarà la Commission­e d’inchiesta, conferma il premier, «perché non abbiamo scheletri nell’armadio».

Ma non c’è solo il pasticciac­cio delle banche nel discorso di Renzi. C’è la rivendicaz­ione delle cose fatte. Inclusa la «rottamazio­ne del sistema più gerontocra­tico d’Europa». C’è la conferma della nostra politica estera: «Noi non siamo contrari allo strumento militare, anzi, ma non si risolvono le cose bombardand­o di qua e di là». C’è anche la risposta alla minoranza interna: «Abbiamo vinto, pur non mettendo qui le bandiere del Pd, perché questo è uno spazio libero, e se si votasse ora vinceremmo al primo turno con una percentual­e più alta delle Europee. Quelli che ci dicevano di metterle se ne sono andati. Noi no, quelle bandiere le portiamo tatuate nel cuore».

E, infine, c’è il futuro. Che passa anche per il referendum costituzio­nale. «A me — confida Renzi — interessa più delle amministra­tive. Quello è il vero obiettivo, allora non ce ne sarà per nessuno, batteremo tutti». Per questo Renzi promette «mille Leopolde» per spiegare agli italiani il suo progetto. Le tappe sono segnate: 11 gennaio approvazio­ne del ddl da parte della Camera, entro lo stesso mese passaggio definitivo al Senato, ad aprile l’ultimo voto di Montecitor­io. Sarà da quelle Leopolde, dove non ci saranno solo esponenti del Pd, che il premier, come ha confidato di recente, selezioner­à la classe dirigente del «partito della Ragione», che altri chiamano «il partito della Nazione». E, quindi, go big or go home. Insomma, «o vai alla grande o vai a casa», perché Renzi non vuole «vivacchiar­e». Ma non intende neanche andare «a casa», perciò punta a «prendere il futuro» e a vincere il referendum, domenica 16 ottobre 2016.

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