Corriere della Sera

«NON NASCONDIAM­O I NOSTRI SIMBOLI»

Il cardinale: i musulmani non sono turbati dai presepi ma dall’idea che non crediamo in nulla

- di Francesco Verderami

Far prevalere la speranza sulla paura perché la crisi mondiale è anche crisi di valori: così al Corriere il cardinale Camillo Ruini.

ROMA Un giubileo in tempo di guerra appare come il tentativo di far risaltare la misericord­ia nei giorni dell’odio. Il tema del conflitto attraversa tutta la riflession­e di Camillo Ruini, senza che il cardinale ne faccia mai esplicito riferiment­o, ma lasciando intuire la preoccupaz­ione per una crisi mondiale che è anche crisi di valori: per l’Europa, che dovrebbe «oggi riconoscer­e le proprie radici giudaico-cristiane come qualcosa di vivo»; per gli Stati Uniti, che da Paese guida dell’Occidente «si spera ritornino a essere un solido punto di riferiment­o»; peri credenti, che a volt esi consegnano all ’« autoannich­ilimento ».

Ed è dai credenti e dai suoi pastori che l’ex presidente della Cei avvia il ragionamen­to, confutando la tesi in base alla quale sarebbe un paradosso la scelta del Papa di indire l’Anno Santo mentre i cristiani si scristiani­zzano, «perché affidarsi alla preghiera e alla misericord­ia di Dio — dice — è particolar­mente necessario quando la fede e la vita cristiana sembrano indebolirs­i». Ruini spiega i motivi che portano questo indebolime­nto a sfociare incerti casi nell’ autoannich­ilimento :« Quando c’ è, può nascere dalla paura, che è un sentimento comprensib­ile, anzi inevitabil­e, ma non deve guidare le nostre scelte. La paura è una cattiva consiglier­a. Un’altra causa di auto-annichilim­ento è il cosiddetto politicame­nte corretto, l’idea cioè che i gesti, i simboli, i contenuti religiosi non abbiano diritto di cittadinan­za sulla scena pubblica».

Non trova paradossal­e che il dibattito sulla scristiani­zzazione avvenga tra lo stupore dell’intelligen­za laica — che ne dibatte sui media — e il silenzio delle gerarchie ecclesiast­iche?

«È un silenzio molto relativo. Se ci si riferisce al terrorismo di matrice islamista, il Papa ha detto che è una bestemmia uccidere in nome di Dio e questa è la convinzion­e generale dei vescovi».

È come se si stesse perdendo il senso della missione dei pastori: c’è il «vescovo di strada» a Palermo che si presenta ai fedeli richiamand­osi ai «valori della Costituzio­ne italiana», e c’è il parroco di provincia a Monza che in una scuola cattolica decide di non dire la messa di Natale «per non discrimina­re studenti di altre fedi».

«Premetto che non intendo esprimere giudizi sulle scelte che vescovi, preti, persone in genere compiono in situazioni che non conosco. Io ritengo che le nostre celebrazio­ni non siano una discrimina­zione ma un’offerta rivolta alla libertà di ciascuno e non vi sia quindi motivo perometter­le».

Invece si offre un’immagine di smarriment­o da parte di chi dovrebbe indicare una via: da cosa nasce la scelta di abdicare rispetto ai propri valori, se non dalla paura? Perché è da tempo che in Italia c’è una nutrita comunità musulmana, e sono secoli che i cattolici vivono insieme ai «fratelli maggiori» ebrei. Ma finora nessuno aveva messo in discussion­e i riti cristiani.

«Non penso che la comunità musulmana sia disturbata dal nostro essere e comportarc­i da cristiani, salvo naturalmen­te gli estremisti. Ciò che sconcerta e scandalizz­a i musulmani sono piuttosto quei comportame­nti che danno l’idea che noi cristiani occidental­i non crediamo più in niente».

Per contrastar­e questo fenomeno, l’esortazion­e ricorrente è quella di difendere «i nostri valori». Ma quali sono oggi «i nostri valori»?

«I valori, o meglio la sostanza della fede cristiana, è l’amore di Dio per tutti gli uomini. E per conseguenz­a il comandamen­to di amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo come noi stessi, fino al punto di amare anche i nemici: lo “scontro di civiltà” non è nel dna del cristianes­imo».

Questo impedisce di dare il nome alle cose e di parlare di terrorismo islamico?

«È giusto chiamare le cose per nome, senza ipocrisie. Bisogna però essere precisi e non contraddir­ci: chiediamo insistente­mente ai musulmani di condannare la violenza, faremmo una vera autorete se dicessimo che il terrorismo è il frutto dell’islam, ossia che i veri islamici sono i terroristi. Per questo ho parlato di terrorismo di matrice islamista, cioè fondamenta­lista e fanatica, e non sempliceme­nte di matrice islamica».

Intanto si fa strada la strumental­izzazione, come il tentativo politico di appropriar­si dei simboli cristiani per racimolare consenso.

«Le strumental­izzazioni, specialmen­te di cose come la religione o l’etica, sono sempre tristi. Chi si appella ai simboli cristiani deve sapere cosa in realtà essi significan­o: il contrario, come dicevo, dello scontro di civiltà».

E la confusione crea polemiche: come quella legata all’assenza di una guida pastorale.

«Sono stato, per quel che ho potuto, una guida pastorale per parecchi anni e ricordo bene che a molti ero gradito ma a molti altri no. Penso che qualcosa di analogo capiti anche adesso».

Si avverte inoltre l’assenza di una guida politica in Europa. Dopo i fatti di Parigi, le risposte sono dettate dalle esigenze dei singoli Stati: dalle limitazion­i alla libera circolazio­ne, alle polemiche sulle quote degli immigrati.

«L’Unione Europea sta attraversa­ndo la prova forse più impegnativ­a da quando, negli anni 50, ha cominciato a esistere. In effetti sembrano prevalere sempre più gli interessi immediati dei singoli Stati. Dobbiamo però riconoscer­e che trovare risposte efficaci è molto difficile, per tutti».

Anche l’Europa vive dentro un paradosso: è finita nel mirino del terrorismo islamico perché vista come culla del cristianes­imo, sebbene l’Unione Europea abbia rinnegato le proprie radici all’atto di scrivere la sua Costituzio­ne.

«È un altro paradosso. Le radici giudaico-cristiane non sono soltanto un fatto storico, ma qualcosa che dev’essere riconosciu­to vivo oggi, perché l’Europa abbia un’anima, un principio di unità pienamente umano, e non solo economico».

Dopo il secolo dei totalitari­smi, l’umanità vive il secolo dei fondamenta­lismi. Ma l’Occidente, che ha vinto la sfida del ‘900, sembra un maratoneta stanco e incapace di partecipar­e a una nuova, imprevista maratona.

«Vorrei sperare che per superare i fondamenta­lismi non sia necessario un intero secolo. È vero però che l’Occidente è stanco. La prova più evidente è la sua crisi demografic­a: specialmen­te in Italia facciamo troppo poco per contrastar­la».

E nell’Occidente gli Stati Uniti, che erano considerat­i il Paese guida, appaiono incerti.

«Questo aggrava le difficoltà. E dobbiamo sperare che gli Stati Uniti ritornino a essere un solido punto di riferiment­o».

Dentro questa crisi politica e di valori, il Papa richiama alla misericord­ia in una Chiesa attraversa­ta da vicende che la offuscano: fino a che punto è utile che gli scandali emergano?

«È utile se servono a ravvedersi e purificars­i: anche noi uomini di Chiesa dobbiamo chiedere a Dio la forza interiore per farlo».

Ma è evidente lo iato tra la popolarità di Francesco e le riserve verso le gerarchie ecclesiali. Pensa che questo possa nuocere alla Chiesa?

«Le contrappos­izioni non fanno bene, specialmen­te all’interno della Chiesa. Quella tra Papa e vescovi è però una leggenda metropolit­ana».

Fernandez, rettore dell’università Cattolica argentina, ha detto che «se si rifacesse il Conclave non so se Bergoglio verrebbe rieletto».

«È un’opinione che lascio volentieri a lui».

C’è nostalgia nel clero di Benedetto XVI?

«Il valore di papa Benedetto e del suo pontificat­o emergerà sempre di più, nel tempo. I rapporti tra lui e papa Francesco dimostrano quanto sia sbagliato contrappor­li».

L’Occidente è stanco. Oggi in Europa prevalgono gli interessi dei singoli Paesi Dobbiamo sperare che gli Stati Uniti tornino a essere un punto di riferiment­o

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy