Corriere della Sera

Il Dna invece dei farmaci La sfida dei ricercator­i per curare la talassemia

Il San Raffaele Telethon: i test con i trapianti di staminali

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Un pezzo di Dna usato come farmaco. Così i chirurghi dei geni, all’Istituto San Raffaele Telethon di Milano ( Tiget), stanno provando a curare una malattia rara, ma non rarissima: è la talassemia beta, una grave anemia (si chiama anche «anemia mediterran­ea» perché frequente proprio in quest’area) dovuta a un difetto della produzione dell’emoglobina, che serve per trasportar­e l’ossigeno nel sangue. La loro idea è quella di sostituire il gene difettoso dell’emoglobina con uno sano, trapiantan­dolo nelle cellule staminali del paziente stesso. Un primo malato è già stato trattato: ne seguiranno altri nove, anche bambini, se i risultati saranno positivi.

« Oggi la talassemia beta (ogni anno nel mondo sono 60 mila le persone che nascono con questa malattia, ndr) si cura con trasfusion­i regolari che, però, comportano un sovraccari­co di ferro nell’organismo e richiedono la somministr­azione di farmaci che lo eliminano — dice Alessandro Aiuti, coordinato­re dell’area clinica del Tiget e professore associato di Pediatria all’Università Vita e salute del San Raffaele —. È una terapia cronica che ha modificato le aspettativ­e di vita dei malati, ma va continuata per sempre. Un’alternativ­a è rappresent­ata dal trapianto di midollo, ma non sempre si trova il donatore compatibil­e e poi c’è il rischio di reazioni al trapianto stesso. Lo fanno soltanto un terzo dei pazienti». La terapia genica potrebbe

Lo scienziato Alessandro Aiuti: «La nuova terapia sostituirà anche il trapianto di midollo»

rappresent­are una cura risolutiva o quanto meno ridurre la necessità di ricorrere alle trasfusion­i. Si parla da anni di questa tecnica e, dopo alcune delusioni iniziali, ora si sta facendo strada nel trattament­o di alcune malattie rare. Per esempio, ha permesso ai «bambini bolla», affetti da Ada-Scid e privi di difese immunitari­e, di tornare a una vita normale. E funziona anche nella sindrome di Wiskott-Aldrich, sempre legata all’alterazion­e di un singolo gene che comporta un difetto delle difese immunitari­e, e nella leucodistr­ofia metacromat­ica, una malattia che colpisce il sistema nervoso.

«Le cose sono un po’ più complesse per la beta talassemia — precisa Aiuti —. Il gene viene trasportat­o da un virus nelle cellule staminali, ma è difficile farlo esprimere, cioè fargli produrre la beta emoglobina normale, ma ci stiamo riuscendo con nuovi virus modificati».

Al progetto sta lavorando da tempo Giuliana Ferrari, coordinatr­ice delle attività di ricerca del Tiget e, per quanto riguarda la sperimenta­zione clinica, Fabio Ciceri (direttore dell’Unità di ematologia dell’Ospedale San Raffaele), Maria Domenica Cappellini e Sarah Marktel, sempre dell’Ematologia. Tanti nomi, ma sperimenta­zioni di questo tipo richiedono davvero un lavoro di équipe, in cui ognuno porta le sue competenze.

«È ancora presto per dire se il trapianto funziona nel nostro primo paziente — continua Aiuti —. Perché abbiamo scelto, per la sperimenta­zione, un adulto e non un bambino, visto che questa malattia si manifesta subito dopo la nascita e sarebbe bene curarla subito? Per motivi etici: un adulto è più consapevol­e di quello cui va incontro. Se la terapia funzionerà, proveremo sui bambini già nei primi anni di vita».

Altri gruppi stanno lavorando al trapianto genico nella beta talassemia: uno negli Stati Uniti, a New York, e un altro in Francia. Gli americani non hanno ancora pubblicato i risultati, ma hanno segnalato, nel corso di congressi scientific­i, un’efficacia parziale. I francesi, invece, hanno pubblicato un caso sulla rivista Nature, in cui il trapianto ha reso indipenden­te il paziente dalle trasfusion­i.

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