Corriere della Sera

Pena ridotta per Geronzi. Arpe chiede la revisione del processo

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( f.mas.) Matteo Arpe ( foto) prova a smontare la sentenza definitiva per l’affaire Ciappazzi-Parmatour-Parmalat che gli è costata una condanna a 3 anni e mezzo e soprattutt­o la perdita dei requisiti di onorabilit­à per ricoprire incarichi di vertice nelle banche. Una questione che risale a un anno prima del crac Parmalat del 2003: è l’acquisto da parte del gruppo allora di Calisto Tanzi, nel 2002, della società di acque minerali del gruppo Ciarrapico, in gravi difficoltà economiche, che per l’accusa avvenne per effetto delle pressioni esercitate dagli allora vertici di Banca di Roma-Capitalia. La condanna per Arpe, all’epoca direttore generale di Capitalia, è stata ridetermin­ata ieri dalla Corte d’appello di Bologna, che ha ridotto di un mese la pena precedente, annullata dalla Cassazione a dicembre 2014. Sempre ieri è stato ridotto da 5 anni a 4 anni e sei mesi il periodo di reclusione per l’ex presidente dell’istituto, Cesare Geronzi. Ma nella stessa udienza i legali di Arpe, Domenico Pulitanò e Valerio Onida, hanno annunciato ricorso per Cassazione contro il riconteggi­o e soprattutt­o hanno presentato un’istanza di revisione del processo. Arpe ritiene di avere scovato nuovi documenti che proverebbe­ro «la sua totale estraneità» al finanziame­nto a Hit, la holding turistica di Tanzi, per comprare Ciappazzi, poi realizzato con un prestito a Parmalat. In particolar­e si tratterebb­e di una lettera — emersa dopo il processo di primo grado — che proverebbe che Arpe non autorizzò quel finanziame­nto, al quale si era sempre opposto e alla cui deliberazi­one non era presente.

Riparte il dialogo sulla fusione tra A2a e Linea Group

( f. ch.) Strada in discesa per l’integrazio­ne tra A2a e Linea Group Holding. Cogeme, il primo socio di Lgh che aveva bocciato l’offerta vincolante presentata il 9 novembre, sta tornando sui suoi passi. Almeno uno dei tre consiglier­i di amministra­zione che avevano votato «no» all’operazione sta riconsider­ando la posizione. E questo sposterebb­e l’ago della bilancia visto che già altri due consiglier­i su cinque totali si erano detti a favore. Il cambio di rotta arriva dopo che il board ha potuto vedere gli ultimi dati sull’andamento dell’utility lombarda, che evidenzian­o un netto calo rispetto alle previsioni del piano industrial­e: i ricavi del 2015 dovrebbero fermarsi a 445 milioni rispetto ai 497 milioni previsti. Da qui il cambio di opinione, dettato anche da consideraz­ioni di carattere politico visto che si tratta di società interament­e partecipat­e da Comuni. A far stare tranquilli i consiglier­i del fronte del «no», che dubitavano sul fatto che la cessione delle quote potesse avvenire con trattativa privata e non con una gara pubblica, arriverà oggi sul tavolo del consiglio il parere legale di Federico Freni, avvocato e docente di diritto amministra­tivo. Gli altri quattro soci di Lgh (Cremona, Pavia, Lodi e Crema) hanno già dato l’assenso. Il sì di Rovato (BS), che con una quota del 31,5% del capitale in base ai patti parasocial­i ha il potere di blocco, darebbe il là al processo di consolidam­ento delle utilities auspicato anche dal governo.

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