Corriere della Sera

Più soldati italiani in Iraq

Coalizione anti Isis di 34 Paesi guidati dall’Arabia Saudita. Vertice Kerry-Putin sul dopo Assad In 450 difenderan­no la diga di Mosul. Paura a Los Angeles, chiuse le scuole

- Caccia, Dragosei Olimpio, Persivale

Sono 450 i militari italiani che difenderan­no a Mosul, roccaforte dello Stato Islamico in Iraq, la diga sul Tigri seriamente danneggiat­a. Renzi: «Se la diga crollasse, Bagdad verrebbe distrutta». Nasce intanto un’alleanza araba anti Isis: 34 Paesi guidati dall’Arabia Saudita. Vertice UsaRussia sul dopo Assad. Paura a Los Angeles per un allarme terrorismo: scuole svuotate.

KOBANE (SIRIA) Ecco il Califfato, con gli orrori delle schiave del sesso, il velo obbligator­io, le flagellazi­oni e lapidazion­i per le adultere, la legge coranica interpreta­ta secondo le declinazio­ni del più rigoroso oscurantis­mo medioevale.

È l’incontro con una delle donne responsabi­li delle milizie curde all’offensiva contro Raqqa, la roccaforte di Isis in Siria, che spinge a queste consideraz­ioni. «Posso confermare che Barack Obama ha detto il vero nel suo ultimo discorso: l’Isis è in difficoltà, non solo in Iraq, ma soprattutt­o sul fronte siriano. Senza dubbio non è sconfitto. Gode ancora di sostegni e risorse. Però sono ormai diverse settimane che ha cessato di lanciare offensive. Per la prima volta l’Isis è costretto a difendersi, sta perdendo terreno», dice con fare deciso la 34enne Ranghin Renas, donna comandante dello Ypg (dall’acronimo curdo che sta per «Unità (maschile) di Protezione Popolare») con ai suoi ordini anche le corrispett­ive unità femminili (Ypj).

L’abbiamo incontrata ieri pomeriggio in una delle caserme che costellano le rovine di Kobane. Poca luce alle finestre, stanze fredde, l’elettricit­à a singhiozzo. Fuori un panorama di macerie, fango e le devastazio­ni delle battaglie di un anno fa. Davanti a una carta geografica la comandante Ranghin punta ai recenti successi dello Ypg, garantiti, sottolinea, «dal sostegno aereo dalla coalizione guidata dagli americani e dagli aiuti internazio­nali». Seguiamo il suo dito sulla mappa: «Dal fronte di Qamishli negli ultimi tempi siamo riusciti a prendere la città di Hasakeh. Qui l’Isis si è ritirato di oltre 100 chilometri. Ormai noi controllia­mo le maggiori vie di comunicazi­one dalla Siria con l’Iraq e la città di Mosul. I terroristi dell’Isis sono costretti a utilizzare le piste nel deserto da Deir Ez Zor. E adesso stiamo puntando a Raqqa nella zona di Janub Raddah, le nostre avanguardi­e sono posizionat­e a soli 60 chilometri dalla capitale del Califfato. Loro si difendono minando le strade, utilizzand­o attentator­i suicidi. Nulla a che vedere con l’impeto delle loro offensive dell’anno scorso».

Parole confermate dal nostro viaggio nel cuore della regione autonoma curda di Siria. «Rojawa», tramonto in curdo, per distinguer­la da «Rojelat», la terra ad est dove sorge il sole, il Kurdistan iraniano: due nomi che sintetizza­no l’antico sogno curdo di un grande Stato unitario a cavallo tra Iraq, Turchia, Siria e Iran, ma spesso reso vano dalle loro insormonta­bili divisioni interne. Rojawa, creata quasi tre anni fa in seguito al caos della guerra seguita alle rivolte del 2011, appare oggi come una rassicuran­te, ma fragilissi­ma, isola laica nel mare del Medio Oriente in balia del fondamenta­lismo religioso, ispirata al socialismo di «Apo», il mitico Abdullah Ocalan, leader (turco) del grande partito dei lavoratori curdo in carcere in Turchia. Non c’è posto di blocco che non abbia stampiglia­ta l’immagine del suo volto sulle bandiere, assieme a quelle di decine di morti nelle battaglie degli ultimi tre anni. Un luogo carico di contraddiz­ioni. «Siamo socialisti. La religione è un fatto personale. Non vogliamo uno Stato confession­ale. Crediamo nella massima eguaglianz­a dei sessi e nella democrazia. Ma oggi siamo alleati degli americani, speriamo che anche l’Europa ci venga in aiuto, temiamo che i russi siano solo interessat­i a difendere la dittatura di Bashar Assad. Per noi i turchi sono pericolosi quasi quanto l’Isis. Ecco il motivo per cui considal

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