Corriere della Sera

CAMBIARE LA UE NON SIA UN ALIBI

- Di Enzo Moavero Milanesi

Dibattere il domani dell’Unione, biasimarne i difetti, è doveroso. Ma l’Italia, in tutte le sue componenti, si mostri vigile, partecipat­iva e influente nel presente.

PROSPETTIV­E

Il negoziato sulla Libia ci ha insegnato nell’ultimo anno che gli annunci valgono poco e le illusioni durano pochissimo. Avrà miglior sorte la firma dell’accordo per un governo unitario prevista tra oggi e domani in Marocco? Forse sì, perché dai tempi della interminab­ile mediazione León che l’Italia ha sin troppo appoggiato la «questione libica» ha subìto una forte e determinat­a accelerazi­one. C’è stata la strage di Parigi. Si è consolidat­o il caposaldo Isis di Sirte, che controlla oltre duecento chilometri di costa e tende ad allargarsi verso le zone petrolifer­e. Sono scesi in camp, soprattutt­o, gli Stati Uniti, che non vogliono l’apertura di un nuovo fronte del Califfato proprio davanti a una fragile e vulnerabil­e Europa.

Tutte urgenze che ovviamente l’Italia condivide, e che hanno trovato riscontro nel vertice di Roma presieduto appunto da Usa, Italia e Onu. Nessuna di queste tre parti ignora che il nuovo governo libico, se nascerà, avrà una base popolare, parlamenta­re e militare troppo ristretta. Nessuno ignora che i parlamenti di Tripoli e forse anche di Tobruk potrebbero votargli contro. Tutti capiscono che in Libia contano le intese con le tribù e ancor più con le milizie armate, non le firme su un pezzo di carta. Ma il tentativo in corso non è per questo un errore. Il nuovo mediatore Martin Kobler doveva forse ricomincia­re a tessere una tela tanto conflittua­le e frastaglia­ta da non avere alcuna probabilit­à di reggere, lasciando che gruppi di interesse, milizie e interessi personali (oltre all’Isis) tenessero in ostaggio l’Occidente a tempo indetermin­ato?

Il calendario ultraveloc­e deciso a Roma (firma oggi, ricorso all’Onu forse già il 24) ha il merito di rovesciare un tavolo ormai non più tollerabil­e. Ma comporta due fondamenta­li consapevol­ezze, in assenza delle quali l’iniziativa fallirà e provocherà danni ancora maggiori rispetto a quelli odierni.

Il patto unitario dovrà rimanere aperto a chiunque voglia aderire in un secondo tempo. Il dialogo costruttiv­o da tempo avviato con la milizia di Misurata dovrà fare scuola presso le altre milizie, a cominciare da quella, divisa al suo interno, di Zintan. Al generale Haftar, autentico guastafest­e nominato ministro della Difesa dal parlamento di Tobruk,

dovrà essere offerto un ruolo di compromess­o accettabil­e anche per le milizie di Tripoli. Sarà essenziale far affluire aiuti economici targati Europa, Fondo Monetario e Banca mondiale per dimostrare che il nuovo accordo è nell’interesse concreto dei più. E sarà essenziale interrompe­re davvero i «contributi» provenient­i attraverso canali nascosti da ben noti Paesi (Turchia, Egitto, Emirati, Qatar) che hanno sin qui soffiato sul fuoco. Invece di battersi per i soldi come fanno oggi, i libici dovranno essere convinti a fare la pace per i soldi.

Ma soprattutt­o, si dovrà essere pronti ad applicare la risoluzion­e che attende in rampa di lancio al Consiglio di sicurezza. La legalità internazio­nale sarà a quel punto garantita anche se molti occhi dovranno essere chiusi sulla natura del nuovo governo libidi co, ma per fare cosa? È risaputo che Gran Bretagna, Francia e Usa stanno valutando iniziative militari mirate (non parliamo di una missione di peace enforcing, che comportere­bbe l’utilizzo di decine di migliaia di uomini) . E L’Italia, cui Obama si è appena riferito prevedendo­ne l’ulteriore aiuto nella lotta contro l’Isis? Dall’addestrame­nto delle forze libiche alle incursioni sulle coste e nei porti tenendo d’occhio il problema dei migranti che tanto ci riguarda, il tempo delle scelte si è fatto improvvisa­mente vicino. Il primo interesse nazionale dell’Italia è in gioco, e quel «ruolo guida» che il governo ha reclamato in Libia dovrà trovare riscontri convincent­i. Non obbligator­iamente militari, ma anche militari se le circostanz­e lo imporranno.

fventurini­500@gmail.com

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