Tobruk-Tripoli partita a rischio
In Italia siamo sempre pronti a evocare una Ue che non c’è: ma è più facile che interagire nelle sedi operative
In Europa, domani, si tiene un altro Consiglio europeo. All’ordine del giorno dei capi di Stato e di governo dei 28 Paesi Ue, troviamo: terrorismo, migrazioni, unione economica e monetaria, «mercato unico», referendum in Gran Bretagna, relazioni con la Russia. Temi importanti e di evidente attualità: del resto, quasi tutti già oggetto di intense discussioni a precedenti vertici. Le posizioni su molti aspetti divergono e questo complica i processi decisionali e la comprensione delle iniziative. Ne discende un forte malcontento dei cittadini europei, delusi nel loro auspicio di vedere risolti i tanti problemi accumulatisi negli ultimi anni. Le critiche si moltiplicano, ma i punti di vista variano, a seconda dei contesti nazionali. In Italia, ad esempio, quando parliamo di Unione Europea, sembra proprio che ne abbiamo in mente non una, bensì due.
La prima è l’Europa che non c’è, quella che avrebbe dovuto esserci, quella a cui (con gli inevitabili distinguo di ciascuno) vorremmo dar vita. L’altra è l’Europa esistente, quella fondata sui trattati in vigore, con le sue norme e i suoi meccanismi. Come in tutti i confronti ipotetici, evocare la prima ci consente di contestare ed esorcizzare la seconda. Così, per esempio, sentiamo spesso contrapporre un’Europa politica a quella tecnocratica o evocare visioni ambiziose, in antitesi agli atti correnti attribuiti ai burocrati. In questa maniera, le naturali aspirazioni a cambiare l’Ue rischiano di diventare un alibi che ci fa trascurare le opportunità e le obbligazioni che si ricollegano all’esserne membri. Non v’è dubbio che dibattere il domani dell’Unione, biasimarne i difetti, sia doveroso, ma nel contempo occorre che l’Italia, in tutte le sue componenti, si mostri vigile, partecipativa e influente nel presente. Fare gli europeisti dell’immaginario è più facile che esserlo nella realtà. Per interagire efficacemente nelle sedi operative europee, bisogna dar prova di ferrata competenza, studiare parecchie carte, tessere relazioni leali, capire bene la portata delle decisioni o delle iniziative, negoziare a fondo con una linea univoca, fare proposte condivisibili dagli altri, spiegare il dissenso e individuare le alternative. Tre comportamenti non pagano in Europa: negligenza, acquiescenza passiva e bisticcio sterile. Estraniarsi o non attribuire priorità alle questioni «comunitarie» è un grave errore, perché a livello Ue si legifera molto e in ambiti cruciali, e si gestiscono ingenti risorse finanziarie.
Qualche esempio, relativo ai punti sottoposti al prossimo Consiglio europeo, può far comprendere l’importanza delle discussioni in atto. Con riferimento alle migrazioni, il fulcro sono i controlli alle frontiere esterne Ue: garanzia reciproca fra gli Stati, a salvaguardia del «sistema Schengen» di libera circolazione delle persone e premessa per l’equa ridistribuzione sul territorio europeo di coloro che arrivano nell’Unione. È un aspetto nodale per il governo italiano, che ha appena ricevuto una formale contestazione circa l’effettiva registrazione dei migranti. Ci viene chiesta, dunque, concretezza sul terreno, quale base per i pur giusti appelli alla solidarietà.
Un secondo punto riguarda l’euro e i rapporti tra i Paesi che l’adottano; l’evoluzione in materia è stata notevole, dall’inizio della crisi economica. In particolare, con afflato europeista, l’Italia ha sostenuto la creazione di un’unione bancaria, le cui regole, fortemente innovative, hanno effetti rilevanti sul sistema creditizio ed esigono stretti contatti con le istituzioni europee e capillare informazione dei risparmiatori; le recenti, dolorose vicende di alcune banche devono far riflettere. Opzioni e delibere dell’eurozona vanno valutate in ogni dettaglio, consapevoli che, a prescindere dal filosofare sulla flessibilità, si procede verso normative e controlli più stringenti che ridurranno ancora la residua sovranità economica degli Stati, cambiando le leggi e le abitudini del nostro Paese. Un terzo punto attiene a un evergreen dei vertici europei: il «mercato unico».
È arduo trovare in Italia chi sia contrario a questo basilare obiettivo; ma, bisogna essere coscienti delle sue più attuali prospettive e prepararsi. Ad esempio, c’è l’unione dei mercati dei capitali ( capital markets union), con la liberalizzazione transfrontaliera di investimenti, depositi, finanziamenti e acquisizioni; un’opportunità e una sfida per aziende e istituti di credito, per la loro dimensione, per gli assetti proprietari e societari, nonché per le prassi amministrative e gestionali. Inoltre, si vuole l’apertura piena dei mercati dei servizi (il «terziario»), dall’enorme potenziale per la crescita; fra i settori, da deregolamentare e sottoporre alla concorrenza europea, ci sono: i servizi pubblici, le concessioni e gli appalti, inclusi quelli locali; le libere professioni, con i loro albi; il commercio; e tante attività a cui, spesso, non pensiamo (dai venditori ambulanti, alle guide turistiche e dei musei, agli istruttori). Insomma, le ineludibili domande conclusive sono: siamo ben informati delle numerose novità Ue in arrivo? Ne conosciamo le implicazioni? C’è una stima del loro impatto? Siamo d’accordo? Ci stiamo organizzando per la loro prossima entrata in vigore?