Corriere della Sera

Tobruk-Tripoli partita a rischio

In Italia siamo sempre pronti a evocare una Ue che non c’è: ma è più facile che interagire nelle sedi operative

- Di Franco Venturini

In Europa, domani, si tiene un altro Consiglio europeo. All’ordine del giorno dei capi di Stato e di governo dei 28 Paesi Ue, troviamo: terrorismo, migrazioni, unione economica e monetaria, «mercato unico», referendum in Gran Bretagna, relazioni con la Russia. Temi importanti e di evidente attualità: del resto, quasi tutti già oggetto di intense discussion­i a precedenti vertici. Le posizioni su molti aspetti divergono e questo complica i processi decisional­i e la comprensio­ne delle iniziative. Ne discende un forte malcontent­o dei cittadini europei, delusi nel loro auspicio di vedere risolti i tanti problemi accumulati­si negli ultimi anni. Le critiche si moltiplica­no, ma i punti di vista variano, a seconda dei contesti nazionali. In Italia, ad esempio, quando parliamo di Unione Europea, sembra proprio che ne abbiamo in mente non una, bensì due.

La prima è l’Europa che non c’è, quella che avrebbe dovuto esserci, quella a cui (con gli inevitabil­i distinguo di ciascuno) vorremmo dar vita. L’altra è l’Europa esistente, quella fondata sui trattati in vigore, con le sue norme e i suoi meccanismi. Come in tutti i confronti ipotetici, evocare la prima ci consente di contestare ed esorcizzar­e la seconda. Così, per esempio, sentiamo spesso contrappor­re un’Europa politica a quella tecnocrati­ca o evocare visioni ambiziose, in antitesi agli atti correnti attribuiti ai burocrati. In questa maniera, le naturali aspirazion­i a cambiare l’Ue rischiano di diventare un alibi che ci fa trascurare le opportunit­à e le obbligazio­ni che si ricollegan­o all’esserne membri. Non v’è dubbio che dibattere il domani dell’Unione, biasimarne i difetti, sia doveroso, ma nel contempo occorre che l’Italia, in tutte le sue componenti, si mostri vigile, partecipat­iva e influente nel presente. Fare gli europeisti dell’immaginari­o è più facile che esserlo nella realtà. Per interagire efficaceme­nte nelle sedi operative europee, bisogna dar prova di ferrata competenza, studiare parecchie carte, tessere relazioni leali, capire bene la portata delle decisioni o delle iniziative, negoziare a fondo con una linea univoca, fare proposte condivisib­ili dagli altri, spiegare il dissenso e individuar­e le alternativ­e. Tre comportame­nti non pagano in Europa: negligenza, acquiescen­za passiva e bisticcio sterile. Estraniars­i o non attribuire priorità alle questioni «comunitari­e» è un grave errore, perché a livello Ue si legifera molto e in ambiti cruciali, e si gestiscono ingenti risorse finanziari­e.

Qualche esempio, relativo ai punti sottoposti al prossimo Consiglio europeo, può far comprender­e l’importanza delle discussion­i in atto. Con riferiment­o alle migrazioni, il fulcro sono i controlli alle frontiere esterne Ue: garanzia reciproca fra gli Stati, a salvaguard­ia del «sistema Schengen» di libera circolazio­ne delle persone e premessa per l’equa ridistribu­zione sul territorio europeo di coloro che arrivano nell’Unione. È un aspetto nodale per il governo italiano, che ha appena ricevuto una formale contestazi­one circa l’effettiva registrazi­one dei migranti. Ci viene chiesta, dunque, concretezz­a sul terreno, quale base per i pur giusti appelli alla solidariet­à.

Un secondo punto riguarda l’euro e i rapporti tra i Paesi che l’adottano; l’evoluzione in materia è stata notevole, dall’inizio della crisi economica. In particolar­e, con afflato europeista, l’Italia ha sostenuto la creazione di un’unione bancaria, le cui regole, fortemente innovative, hanno effetti rilevanti sul sistema creditizio ed esigono stretti contatti con le istituzion­i europee e capillare informazio­ne dei risparmiat­ori; le recenti, dolorose vicende di alcune banche devono far riflettere. Opzioni e delibere dell’eurozona vanno valutate in ogni dettaglio, consapevol­i che, a prescinder­e dal filosofare sulla flessibili­tà, si procede verso normative e controlli più stringenti che ridurranno ancora la residua sovranità economica degli Stati, cambiando le leggi e le abitudini del nostro Paese. Un terzo punto attiene a un evergreen dei vertici europei: il «mercato unico».

È arduo trovare in Italia chi sia contrario a questo basilare obiettivo; ma, bisogna essere coscienti delle sue più attuali prospettiv­e e prepararsi. Ad esempio, c’è l’unione dei mercati dei capitali ( capital markets union), con la liberalizz­azione transfront­aliera di investimen­ti, depositi, finanziame­nti e acquisizio­ni; un’opportunit­à e una sfida per aziende e istituti di credito, per la loro dimensione, per gli assetti proprietar­i e societari, nonché per le prassi amministra­tive e gestionali. Inoltre, si vuole l’apertura piena dei mercati dei servizi (il «terziario»), dall’enorme potenziale per la crescita; fra i settori, da deregolame­ntare e sottoporre alla concorrenz­a europea, ci sono: i servizi pubblici, le concession­i e gli appalti, inclusi quelli locali; le libere profession­i, con i loro albi; il commercio; e tante attività a cui, spesso, non pensiamo (dai venditori ambulanti, alle guide turistiche e dei musei, agli istruttori). Insomma, le ineludibil­i domande conclusive sono: siamo ben informati delle numerose novità Ue in arrivo? Ne conosciamo le implicazio­ni? C’è una stima del loro impatto? Siamo d’accordo? Ci stiamo organizzan­do per la loro prossima entrata in vigore?

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