«Un intervento strategico»
Roma schiererà 450 militari a Mosul, «cuore di un’area pericolosa al confine con lo Stato Islamico»
L’aveva anticipato due giorni fa il presidente Usa, Barack Obama: «L’Italia è pronta a fare di più nella lotta al Califfato e lo farà in un’area ad alto rischio». La conferma è arrivata ieri sera direttamente da Matteo Renzi: 450 militari italiani partiranno presto per Mosul, Iraq, la prima linea della guerra all’Isis, una delle roccaforti di Daesh. I nostri soldati dovranno proteggere la diga sul fiume Tigri, « cuore di un’area molto pericolosa al confine con lo Stato islamico - ha aggiunto il premier – la diga è seriamente danneggiata e, se crollasse, Bagdad (350 chilometri a sud, ndr) verrebbe distrutta».
L’appalto per la sua risistemazione è stato vinto dal gruppo Trevi di Cesena: una commessa del valore di oltre 2 miliardi di dollari. Ma per gli operai al lavoro servirà la massima protezione e così il governo iracheno si è rivolto a Roma per chiedere aiuto: tra personale militare e civile, in realtà, alla fine potrebbero essere impiegati più di 600 uomini. La decisione finale è stata presa ieri dal presidente del Consiglio a Palazzo Chigi dopo un incontro con i ministri Pinotti, Gentiloni, Alfano e il sottosegretario alla Sicurezza Minniti.
Il salto di qualità della nostra missione internazionale, dunque, è imminente. Mentre finora il grosso del contingente (circa 750 uomini) impegnato in Iraq nell’operazione «Prima Parthica» ha avuto prevalentemente funzioni di addestramento dell’esercito regolare, nella zona compresa tra Erbil e la capitale, altri 450 soldati adesso partiranno per il fronte più caldo. Mosul, già nell’estate del 2014, fu teatro di aspre battaglie tra i jihadisti del Califfo e le forze curde peshmerga: gli italiani dovranno unirsi ora agli inglesi e agli americani nella difesa dell’imponente infrastruttura vitale per il Paese. È infatti il più grande serbatoio artificiale dell’Iraq, alta 131 metri e lunga 3,2 chilometri, con una capacità di 8 milioni di metri cubi e fonte di elettricità per 1,7 milioni di persone. Inaugurata nel 1983 sotto Saddam Hussein, fu subito ribattezzata la «Diga Saddam». Conquistata dalle milizie dell’Isis nell’agosto 2014 per due settimane, fu poi riconquistata dai peshmerga filo-iracheni con l’aiuto dei raid aerei americani, ma il Califfato l’ha sempre vista come una possibile arma letale, una catastrofica «bomba d’acqua» da utilizzare, facendola saltare in aria, per piegare la resistenza delle province di Ninive e Kirkuk e arrivare così fino a prendere Bagdad.
Dopo la proroga della nostra missione in Afghanistan, decisa due mesi fa dopo la visita romana del Capo del Pentagono Ash Carter, ecco dunque che cambieranno le cose anche in Iraq. I tempi tecnici per l’invio dei militari richiederanno qualche settimana. Finora le condizioni di sicurezza assolutamente precarie nella regione non hanno consentito all’azienda italiana di avviare i lavori. Ma con la scorta dei nostri soldati, nel 2016 si potrà finalmente provvedere al consolidamento della diga pericolante.