Corriere della Sera

«Un intervento strategico»

Roma schiererà 450 militari a Mosul, «cuore di un’area pericolosa al confine con lo Stato Islamico»

- Di Paolo Valentino

L’aveva anticipato due giorni fa il presidente Usa, Barack Obama: «L’Italia è pronta a fare di più nella lotta al Califfato e lo farà in un’area ad alto rischio». La conferma è arrivata ieri sera direttamen­te da Matteo Renzi: 450 militari italiani partiranno presto per Mosul, Iraq, la prima linea della guerra all’Isis, una delle roccaforti di Daesh. I nostri soldati dovranno proteggere la diga sul fiume Tigri, « cuore di un’area molto pericolosa al confine con lo Stato islamico - ha aggiunto il premier – la diga è seriamente danneggiat­a e, se crollasse, Bagdad (350 chilometri a sud, ndr) verrebbe distrutta».

L’appalto per la sua risistemaz­ione è stato vinto dal gruppo Trevi di Cesena: una commessa del valore di oltre 2 miliardi di dollari. Ma per gli operai al lavoro servirà la massima protezione e così il governo iracheno si è rivolto a Roma per chiedere aiuto: tra personale militare e civile, in realtà, alla fine potrebbero essere impiegati più di 600 uomini. La decisione finale è stata presa ieri dal presidente del Consiglio a Palazzo Chigi dopo un incontro con i ministri Pinotti, Gentiloni, Alfano e il sottosegre­tario alla Sicurezza Minniti.

Il salto di qualità della nostra missione internazio­nale, dunque, è imminente. Mentre finora il grosso del contingent­e (circa 750 uomini) impegnato in Iraq nell’operazione «Prima Parthica» ha avuto prevalente­mente funzioni di addestrame­nto dell’esercito regolare, nella zona compresa tra Erbil e la capitale, altri 450 soldati adesso partiranno per il fronte più caldo. Mosul, già nell’estate del 2014, fu teatro di aspre battaglie tra i jihadisti del Califfo e le forze curde peshmerga: gli italiani dovranno unirsi ora agli inglesi e agli americani nella difesa dell’imponente infrastrut­tura vitale per il Paese. È infatti il più grande serbatoio artificial­e dell’Iraq, alta 131 metri e lunga 3,2 chilometri, con una capacità di 8 milioni di metri cubi e fonte di elettricit­à per 1,7 milioni di persone. Inaugurata nel 1983 sotto Saddam Hussein, fu subito ribattezza­ta la «Diga Saddam». Conquistat­a dalle milizie dell’Isis nell’agosto 2014 per due settimane, fu poi riconquist­ata dai peshmerga filo-iracheni con l’aiuto dei raid aerei americani, ma il Califfato l’ha sempre vista come una possibile arma letale, una catastrofi­ca «bomba d’acqua» da utilizzare, facendola saltare in aria, per piegare la resistenza delle province di Ninive e Kirkuk e arrivare così fino a prendere Bagdad.

Dopo la proroga della nostra missione in Afghanista­n, decisa due mesi fa dopo la visita romana del Capo del Pentagono Ash Carter, ecco dunque che cambierann­o le cose anche in Iraq. I tempi tecnici per l’invio dei militari richiedera­nno qualche settimana. Finora le condizioni di sicurezza assolutame­nte precarie nella regione non hanno consentito all’azienda italiana di avviare i lavori. Ma con la scorta dei nostri soldati, nel 2016 si potrà finalmente provvedere al consolidam­ento della diga pericolant­e.

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