Corriere della Sera

LA POLITICA DEI FORNI (PIÙ DI DUE)

- Di Michele Ainis

Quanti partiti, quante maggioranz­e puntellano l’esecutivo Renzi? Ufficialme­nte governa con Alfano, matrimonio d’amore o forse d’interesse. Tuttavia la sua riforma più importante – quella costituzio­nale – fu benedetta a suo tempo dal patto del Nazareno, copyright Silvio Berlusconi. Senza quest’ultimo, ma insieme a Vendola, ha fatto eleggere il presidente Mattarella. Invece con Grillo va a braccetto per le nomine in Rai (Freccero), per quelle alla Consulta (prima Sciarra, poi Modugno, Barbera, Prosperett­i), per la legislazio­ne sui temi etici (il ddl Cirinnà sulle unioni civili è sostenuto dal Pd e dai 5 Stelle).

Di volta in volta c’è chi prende cappello: la minoranza del suo stesso partito vota contro l’Italicum, Alfano minaccia interpella­nze all’Onu se passa l’adozione gay. Ma le reazioni parrebbero iscriversi nella dinamica amorosa, non in quella politica. «Bugiardo, mi hai tradito» tuona per esempio Forza Italia, dopo l’accordo fra democratic­i e grillini sui nuovi giudici costituzio­nali. «Hai scelto un’altra al posto mio». Nessun peccato: in politica la fedeltà è una colpa, l’adulterio una virtù. Però in queste vicende Casanova è anche Camaleonte. Sicché Renzi indossa la maschera di Berlusconi quando abolisce l’Imu, di Vendola quando timbra la legge sul divorzio breve, di Grillo quando promette di fare soltanto due mandati, di Salvini quando bisticcia con Merkel.

Eogni volta il pubblico applaude la controfigu­ra, non il figuro che le sta alle spalle. Mentre frotte di parlamenta­ri ammainano le loro insegne di partito per iscriversi al Pd. Almeno in questo caso, la copia funziona meglio dell’originale.

È la cifra politica del governo Renzi: l’incorporaz­ione. Anziché sfidare gli avversari in campo aperto, li saggia, li assaggia, infine se li mangia. Però stavolta il nuovo rispecchia l’antico. « Politica dei due forni » , si chiamava così ai tempi d’Andreotti. Negli anni Sessanta scegliendo fra la destra dei liberali (e dei missini) e la sinistra dei socialisti, quali alleati della Dc al governo; negli anni Settanta fra socialisti e comunisti. Adesso i forni sono tre, forse anche quattro, contando Verdini. O cinque, dato che la minoranza Pd è un partito nel partito. Meglio così, la concorrenz­a fa diminuire i prezzi. Ovvero le pretese dei fornai, e d’altronde fu esattament­e questa l’intenzione di Andreotti. Il Psi vuole una banca, un ministero, una leggina di favore? Gli converrà abbassar la cresta, sennò la Dc può sempre trovarsi un altro fidanzato.

In quegli anni ormai lontani l’Italia attraversò un periodo di sviluppo, di crescita economica e civile. Ma all’interno d’una democrazia bloccata, senza ricambio alla guida del governo. Palazzo Chigi era una dependance di Palazzo Cenci-Bolognetti, sede storica dei democristi­ani. Nell’ultimo ventennio, viceversa, abbiamo sperimenta­to un sistema bipolare, alternando esecutivi di destra e di sinistra. E adesso siamo qui, dinanzi all’ultima curva del circuito. Laggiù, sull’orizzonte, s’intravede già il traguardo. È la Terza Repubblica, con i suoi homines novi, col suo corredo di riforme costituzio­nali ed elettorali.

Già, l’Italicum. Carta vince, carta perde. Ma la vittoria va al partito, non alla coalizione. Se i nanetti vogliono spazio, dovranno chiedere asilo nelle liste dei giganti, di quei due o tre partiti in grado d’accaparrar­si il premio di maggioranz­a. Venendone, per l’appunto, incorporat­i, com’è già successo a Scelta civica nei riguardi del Pd, come domani, forse, succederà ad Alfano. Da qui la strategia del nostro premier, durante questo biennio di governo: dopotutto, lui si sta portando avanti col lavoro.

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