Corriere della Sera

Le spese pazze dell’Etruria

L’istituto pagò i legali all’ex presidente per un reato legato al dissesto

- Di Fiorenza Sarzanini

Nonsi badava proprio a spese, secondo il dossier di Bankitalia, ai vertici di Banca Etruria. Anche quando i conti erano «in rosso» ed era già chiaro il rischio di fallimento.

Stipendi, rimborsi, compensi ai consulenti: non si badava a spese ai vertici di Banca Etruria. Anche quando i conti erano «in rosso» ed era chiaro il rischio di fallimento. All’ex presidente Giuseppe Fornasari hanno pagato gli avvocati, nonostante il reato di cui era accusato fosse legato al dissesto dell’istituto. Ai manager che lasciavano l’incarico

Su un affare immobiliar­e la banca rinunciò al deposito cauzionale di un milione

hanno assegnato «buonuscite» da oltre un milione di euro. E di questo i componenti del cda in carica dal 4 maggio 2014 all’11 febbraio 2015 dovranno rispondere di fronte ai magistrati e a Bankitalia che ha già trasmesso le sue «contestazi­oni» formali ai consiglier­i e ai vertici — il presidente Lorenzo Rosi e i vice Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi, padre della ministra per le Riforme Maria Elena — in vista dell’erogazione delle sanzioni.

I soldi ai manager

Le regole interne prevedevan­o che, in caso di risoluzion­e anticipata del contratto, il compenso dovesse essere «collegato alla performanc­e realizzata e ai rischi assunti». Non va invece così, secondo gli ispettori, quando a lasciare l’incarico è il direttore generale Luca Bronchi, indagato per le operazioni immobiliar­i legate al Palazzo della Fonte. Il 30 giugno 2014 il cda gli assegna un indennizzo di 1,2 milioni di euro «nonostante il grave deterioram­ento della banca e decide di non contestarg­li responsabi­lità specifiche».

Al suo successore Daniele Cabiati viene invece consegnata una lettera di incarico «con la possibilit­à di riconoscer­gli una retribuzio­ne variabile da 300 mila euro contrariam­ente a quanto indicato nel documento sulle “Politiche di remunerazi­one” approvato dall’assemblea dei soci il 4 maggio 2014». Lo stesso vale per i «125 mila assegnati al responsabi­le del marketing Fabio Piccinini al momento di risolvere il contratto». Gravissima, secondo i funzionari di Bankitalia, l’omissione di controllo che ha consentito ad Andrea Baldini, dipendente licenziato il 28 novembre 2014 e denunciato per malversazi­one, di effettuare «tra il 2007 e il 2014, 103 operazioni anomale per 520 mila euro trasferiti sui propri conti».

I tagli di stipendio

Il 22 maggio 2014, diciotto giorni dopo la nomina, il consiglio di amministra­zione approva una delibera che prevede una riduzione degli emolumenti pari al 32,5 per cento per il presidente Lorenzo Rosi e del 20 per cento per i due vicepresid­enti Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi. Analizzand­o il bilancio dell’istituto, si scopre che tutti e tre prendono 180 mila euro, anche se la somma delle «voci» poi è diversa, ma è comunque su questa cifra che dovrebbe essere applicata la riduzione.

Invece non accade nulla e anche questa è adesso materia di contestazi­one. Secondo gli ispettori, questo dimostra infatti che non è stato rispettato «il dichiarato intento di voler rappresent­are un punto di discontinu­ità nella vita aziendale». Del resto agli stessi vertici viene anche addebitata «l’assenza di interventi idonei a ristabilir­e l’equilibrio reddituale del gruppo» e infatti «le misure potenzialm­ente idonee ad agevolare un riequilibr­io economico — riduzione forza lavoro e di 410 unità e rimodulazi­one della presenza territoria­le — sono state deliberate tardivamen­te, solo il 22 dicembre 2014 e il 9 gennaio 2015».

Intanto « nel periodo 2013/2014 sono stati corrispost­i compensi per 335 mila euro a dipendenti in quiescenza a fronte delle collaboraz­ioni prestate».

La cauzione regalata

Quello degli incarichi esterni è uno dei problemi emerso più volte negli ultimi giorni e ben descritto dagli ispettori di Bankitalia quando elencano le consulenze «che nel biennio 2013/2014 sono state di oltre 15 milioni di euro». In particolar­e all’ex direttore generale Luca Bronchi si contesta di aver «firmato delibere oltre i suoi poteri; pagato prestazion­i non contrattua­lizzate; assegnato gli stessi incarichi a profession­isti diversi; modificato le “voci” di spesa».

Per comprender­e come andassero le cose, vale un esempio ritenuto «emblematic­o» che riguarda la riacquisiz­ione degli immobili di Firenze della direzione generale e delle agenzie 1 e 2 che erano stati concessi in leasing. Su quell’affare sono stati spesi 625 mila euro per consulenze e inspiegabi­lmente si è deciso di rinunciare al deposito cauzionale di un milione di euro della società Cupido.

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