Corriere della Sera

Chi e come sarà risarcito

- di Giovanni Stringa

Ilcriterio per decidere chi avrà diritto a un rimborso tra i risparmiat­ori che hanno perso i soldi nelle banche salvate dal governo? «Manifesta incongruit­à nell’allocazion­e di portafogli­o».

Usa un’immagine biblica, Antonio Patuelli, per descrivere lo stato dell’arte delle regole europee del credito. Presidente dell’Abi, l’associazio­ne delle banche italiane, Patuelli parla di «babele normativa»: aiuti o garanzie di Stato a istituti tedeschi o portoghesi, pesanti perdite per i risparmiat­ori e costi imprevisti per le banche concorrent­i in Italia.

Tutto sembra però essere in punto di diritto.

«Se Lisbona e Berlino possono continuare a garantire denaro pubblico ad alcuni istituti perché i salvataggi erano già partiti in passato, allora chi ha avuto aiuti di Stato può continuare ad averli e chi, invece, non li ha mai ricevuti, si trova la strada sbarrata, oltre a un accesso restrittiv­o perfino al fondo interbanca­rio. Siamo in una fase di transizion­e verso l’Unione bancaria europea: abbiamo una vigilanza unica ma non un testo unico continenta­le. Ci sono fonti di legge sovranazio­nali e nazionali, con intersezio­ni normative e senza una completezz­a della certezza del diritto. L’Unione bancaria deve fare presto passi avanti, definendo urgentemen­te regole comuni e prassi transitori­e. Altrimenti restano le disparità di trattament­o».

Quali, dal punto di vista del singolo risparmiat­ore?

«In Italia si subisce la retroattiv­ità di norme europee: chi ha comprato obbligazio­ni bancarie subordinat­e anche prima del lancio dell’unione del credito — quando ancora questi bond erano meno a rischio — può oggi averci rimesso, pesantemen­te. In altri Paesi prevale invece l’ultra attività: se, nel singolo caso, le garanzie di Stato c’erano prima, possono ora continuare a valere».

Almeno i contribuen­ti italiani non si sono accollati il costo dei salvataggi. O una

Le disparità Serve una parità effettiva nella Ue. I risparmiat­ori italiani subiscono un trattament­o più sfavorevol­e

parte, visto che gli aiuti versati dal sistema bancario ne ridurranno gli utili e quindi le imposte da pagare.

«Gli oneri del mondo creditizio sono spese obbligator­ie, caricate a bilancio, in applicazio­ne di specifiche norme. Sarebbero stati spalmati su più anni se l’Europa non avesse impedito al fondo interbanca­rio di intervenir­e».

Che cosa chiedete all’Europa? Un maggiore intervento dello Stato nei salvataggi?

«Non chiediamo aiuti pubblici, ma che non ci siano privilegi né discrimina­zioni. L’Unione bancaria va avanti se c’è una parità effettiva».

Come sono visti gli istituti italiani in Europa, ora che la crisi di Banca Marche, Etruria, CariFe e CariChieti ha acceso i riflettori sul Paese?

«In Europa e nel mondo, in questi ultimi anni di crisi, diverse banche si sono viste recapitare sanzioni e condanne — anche molto pesanti — con l’accusa di comportame­nti illeciti. Si tratta di grandi istituti internazio­nali, ma non italiani. Nei soli Stati Uniti, poi, sono fallite ben 500 banche. Non si può fare di ogni erba un fascio, e considerar­e il mondo bancario italiano sulla base di quattro istituti salvati. Le faccio un esempio: il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, è appena stato eletto all’unanimità presidente del comitato esecutivo della Federazion­e bancaria europea. È un attestato di fiducia dell’Europa nell’Italia e nell’Abi».

Ma l’Europa ci bacchetta.

«Ma riconosce anche i nostri punti di forza: agli ultimi esami sulle banche (gli Srep) gli istituti italiani sono risultati più forti di tanti concorrent­i all’estero. Nonostante che oltre confine gli aiuti pubblici siano stati più che abbondanti».

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