L’indipendenza catalana primo scoglio di Podemos
Barcellona è all’opposizione. Il primo partito è Podemos favorevole a votare sull’indipendenza, seconda la Sinistra che la esige, terza la Destra che la pretende. In realtà, l’indipendenza è un fantasma. Non verrà mai. Ma è destinata ad avvelenare la vita pubblica. E a danneggiare il prestigio e gli interessi di questa meravigliosa capitale del Mediterraneo.
Barcellona non è solo bellissima. È anche la città al mondo che gode del maggior pregiudizio positivo. Il posto preferito per l’Erasmus. Le Olimpiadi del 1992. La leggenda dell’anarchia, con la ministra Federica Montseny che riconverte le prostitute in sarte (quando si capì che il mercimonio sarebbe finito solo con una rivoluzione dell’amore libero, il suo compagno di utopia Mariano Gallardo propose che la verginità fosse considerata «un crimine sociale», da punire o almeno da tassare). La squadra di calcio più forte di tutti i tempi con la scritta «Unicef» sulle maglie (ma punita per doping finanziario, accusata di aver pagato Neymar in nero, per poi ingaggiare Sanchez, grande centravanti però razzista e violento. Ora lo sponsor è Qatar Airways). Il mito della metropoli antifranchista. Ma «tutte le volte che ho accompagnato il Caudillo a Barcellona siamo sfilati tra due ali di folla plaudente — rivendicò prima di morire il pupillo di Franco, Manuel Fraga Iribarne —. Le ragazze gettavano fiori. I borghesi facevano a gara per invitarci nelle loro case…».
«E’ vero, la borghesia catalana era franchista — dice Javier Cercas, lo scrittore di “Soldati di Salamina”, nato in Estremadura ma che da sempre vive e insegna qui —. I catalani amano reinventarsi
La sindaca
Podemos è arrivato al 25%, spinto dalla popolarità della nuova sindaca Ada Colau, ex attrice, ex capo del movimento dei senzatetto di Mas è sceso da 16 a 8 seggi. Ma l’Erc li ha triplicati, da 3 a 9. Saranno tutti voti per far nascere un esecutivo di sinistra che conceda il referendum sull’indipendenza; cui però i socialisti andalusi sono contrarissimi (e un quarto dei 90 deputati socialisti sono andalusi). La Cup non si è presentata perché non riconosce il Parlamento spagnolo. Podemos è arrivato al 25%, spinto dalla popolarità della nuova sindaca Ada Colau, ex attrice, ex capo del movimento dei senzatetto, che si è insediata proclamando: «Non obbedirò alle leggi che considero ingiuste». La cosa a Iglesias è piaciuta moltissimo. I socialisti sono crollati. Rivera, contrario all’indipendenza, è andato maluccio. Lui è catalano, nato a Barceloneta, impiegato nella banca locale Caixa, ma è l’unico a parlare castigliano nel Parlamento locale, tra le risate di scherno dei colleghi. Quando Mas e gli altri appaiono sulle tv spagnole vengono sottotitolati. Il rifondatore di Erc, Josep Lluis Carod-Rovira, si vanta di aver parlato castigliano una sola volta in vita sua, per commemorare le vittime della bomba di Al Qaeda a Madrid, 11 marzo 2004.
A Barcellona le scritte sono ormai quasi tutte in catalano. In catalano le lezioni a scuola. Catalani i volumi che si trovano all’ingresso delle librerie. Il problema è che la lingua diventa dirimente pure nei concorsi pubblici, negli ospedali si assumono medici perché dicono «adeu» invece di «adios». L’effetto è un po’ provinciale, considerato che Barcellona è stata un crocevia della storia del Novecento: l’Omaggio alla Catalogna di Orwell e i grandi classici della guerra civile scritti da stranieri, Malraux, Hemingway, Bernanos, Koestler, Gibson; la drammatica guerra nella guerra tra anarchici e stalinisti comandati da Togliatti; Dolores Ibarruri che saluta le brigate internazionali in partenza dopo la sconfitta: «Un giorno ritornerete, e troverete una patria». E Mussolini che festeggia la presa della città: «Dicevano: no pasaran. Siamo passati! E vi dico che passeremo». Il fascismo per fortuna è passato, e
Il presidente
Se Mas non ce la fa a insediarsi entro il 10 gennaio, si torna a votare; ma dovrebbe farcela. Ha detto che sarà una presidenza di transizione