Corriere della Sera

Offensiva talebana in Afghanista­n Tornano le forze speciali Usa e Gb

Assediata Sangin, nella provincia di Helmand. E le truppe Nato si rischieran­o

- Michele Farina

L’inverno non è più stagione di tregua. E dopo 14 anni di guerra, a 12 mesi dal grande ritiro internazio­nale, i talebani sono all’offensiva.

In tre giorni hanno quasi espugnato Sangin, centro nevralgico nella provincia meridional­e di Helmand. Usando gli altoparlan­ti i miliziani con il kalashniko­v hanno intimato ieri la resa agli ultimi soldati e ai poliziotti afghani, mentre nelle due basi governativ­e rimaste cibo e munizioni sono arrivati con un ponte aereo.

Dall’alto sono giunti i rinforzi «morali»: 300 soldati della Nato, tra cui 10 britannici delle forze speciali, sono basati nel vicino Camp Shorabak, sulla carta soltanto con funzione di «consiglier­i». I commando Usa invece operano nella zona da un po’. Significat­ivo il ritorno di un contingent­e britannico, sia pur ristretto, nella provincia dove i soldati di Sua Maestà più hanno combattuto (e sono morti in 100). Anche sul piano emotivo. Sui media le madri di alcuni soldati hanno alzato la voce: per cosa sono morti i nostri figli?

In realtà la caduta di Sangin, culla e mercato dell’oppio afghano, non sarebbe una sorpresa. William Patey, ex ambasciato­re Uk, dice al Guardian che le truppe di Kabul hanno sempre avuto e continuere­bbero ad avere grosse difficoltà a controllar­e province a maggioranz­a pashtun come Helmand. Quello che più preme al presidente Ghani è mantenere il controllo di Kandahar, vero simbolo del Sud. Secondo l’ultimo rapporto Onu, in 30 distretti la guerriglia è padrona. In 398 la minaccia talebana è valutata «alta» o «estrema». Il gruppo non ha mai controllat­o una fetta così grande di territorio dal 2001, l’anno in cui furono cacciati da Kabul.

Con Siria e Iraq sugli scudi, l’Afghanista­n è diventata una retrovia dell’intervento occidental­e. Più di 120 mila militari della coalizione sono partiti. I 12 mila rimasti, tra cui i 9.800 americani che il presidente Obama a ottobre ha deciso di mantenere per tutto il 2016, in teoria non possono essere impiegati «in combattime­nto». Trecento soldati Nato a sostegno logistico dei governativ­i. Cibo e munizioni dal cielo

Avevano funzioni «di supporto» anche i sei soldati Usa uccisi lunedì, mentre erano di pattuglia con i colleghi afghani nei pressi della base aerea di Bagram, investiti dall’esplosione di un kamikaze a bordo di una motobomba: il più grave attacco contro forze internazio­nali del 2015. Molto maggiori e a cadenza quotidiana le perdite delle forze nazionali, che a metà novembre ammontavan­o a 7.200 morti.

Forti sul campo, deboli politicame­nte e al tavolo negoziale. Il mese prossimo il Pakistan dovrebbe dare il via a una tornata di colloqui tra governo di Kabul e talebani, ma i contrasti all’interno del movimento estremista (e la fragile leadership del mullah Mansour seguita al pasticcio della taciuta morte del mullah Omar) rendono instabile l’intero scenario. La mancanza di un interlocut­ore unico allunga i tempi di ogni possibile compromess­o.

Questo gioca a favore di gruppi che si richiamano all’Isis nell’Est: 3 mila miliziani secondo il generale John Campbell, capo delle forze Usa nel Paese. La radio in pashtun «La voce del Califfato» suona più baldanzosa che mai.

Battaglia

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