Corriere della Sera

«Non esiste il diritto a non nascere perché malati»

La Cassazione non risarcisce una bimba venuta al mondo con la sindrome di Down non scoperta dai medici

- G. Fas. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Non c’è nessun «diritto alla non vita», cioè «il diritto a non nascere se non sano». E che non si faccia confusione perché «cosa diversa è il diritto di staccare la spina, che comunque presuppone una manifestaz­ione di volontà ex ante, con il testamento biologico». Accostare le due situazioni è «fallace».

Questo scrivono i giudici delle sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamati in causa da una coppia che chiedeva il risarcimen­to dei danni ai primari dei reparti di ginecologi­a e laboratori­o di analisi della Asl di Lucca. Motivo: nelle loro indagini prenatali i medici non avevano riscontrat­o che la loro bambina fosse affetta dalla sindrome di Down e la madre giura che, se invece ne fosse stata informata, avrebbe scelto di non portare avanti la gravidanza. Ma il diritto a risarcire il danno a un bambino che nasce malato — è la risposta della Suprema Corte — «non esiste, tanto più che di questo diritto si farebbero interpreti unilateral­i i genitori nell’attribuire alla volontà del nascituro il rifiuto di una vita segnata dalla malattia, come tale indegna di essere vissuta (quasi un corollario estremo del cosiddetto diritto alla felicità)».

E ancora: «La pretesa risarcitor­ia del nato disabile verso il medico» finirebbe con l’assegnare al risarcimen­to «una impropria funzione vicariale, suppletiva di misure di previdenza e assistenza sociale».

Nessun danno da riconoscer­e alla bambina, quindi. Ma i giudici hanno disposto comunque nuove indagini relative al danno psicologic­o subito dalla madre richiamand­osi alla legge 194 sull’aborto. In quel caso per un eventuale risarcimen­to alla donna, scrivono, è necessario provare che lei avrebbe davvero «esercitato la scelta abortiva» facendo approfondi­menti anche sul suo «stato psicologic­o» fin qui sottovalut­ato.

La Corte argomenta la sua scelta mettendo anche in guardia dal «rischio di una reificazio­ne dell’uomo, la cui vita diventereb­be apprezzabi­le in ragione dell’integrità psicofisic­a», uno scenario definito «deriva eugenetica».

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