PER L’IMPUTATO COSENTINO UNA GIUSTIZIA SENZA PIETÀ
In occasione del Natale, dopo 28 mesi di custodia cautelare, 4 processi e nessuna sentenza, Nicola Cosentino non può neanche incontrare la moglie, che non vede da quasi un anno. Un trattamento che per ragioni di civiltà giuridica non è previsto neppure per i boss sottoposti al 41bis scatta invece nei confronti dell’ex sottosegretario berlusconiano e potente leader di opposizione in Campania. Perché? Il giudice si è opposto all’incontro per due ragione. La prima: potrebbe compromettere i giudizi in corso. La seconda: Cosentino è in carcere a Terni, accusato, tra l’altro, di partecipazione esterna in associazione camorristica; la moglie è invece sottoposta all’obbligo di dimora a Caserta per tentata corruzione, essendo riuscita, tempo fa, a far pervenire al marito in cella oggetti non permessi, vale a dire un iPod con le loro canzoni preferite e una confezione di mozzarella di bufala. Esigenze cautelari e geografia, nonché debolezze sentimentali e alimentari hanno dunque prodotto l’effetto di un clamoroso accanimento giudiziario. Eppure, prima ancora di chiedersi a chi possa giovare una giustizia senza pietà — «contraria al senso di umanità», dice la Costituzione — qui si tratta di valutare cui prodest una giustizia del tutto priva di logica. L’illogicità sta nel fatto che Cosentino e la moglie possono, con una certa frequenza, sia parlarsi al telefono, sia scambiarsi lettere. Quello che invece non possono fare è incontrarsi, cioè guardarsi negli occhi o sfiorarsi con una carezza. E non possono farlo sebbene parole anche sussurrate e gesti appena accennati non sfuggirebbero alla videosorveglianza del carcere. Colpisce, poi, il paradosso per cui tanta intolleranza nei confronti di Cosentino coincida con il massimo di considerazione per i cosentiniani, diventati centrali nell’attuale sistema politico. A Roma come in Campania.