Corriere della Sera

NON CHIAMIAMO PIÙ POPULISTA CHI È DELUSO DALL’EUROPA

- Massimo Nava mnava@corriere.it

Molti storcono il naso se si dice che Front National, Podemos, 5 Stelle, Tzipras, Lega Nord e altri movimenti che avanzano nella vecchia Europa si assomiglia­no. Ha senso confondere orde xenofobe e antieurope­e con nobili rivolte, ammantate di slogan di «sinistra»? Cosa hanno in comune l’estrema «destra» lepenista con la sollevazio­ne civica e mediatica di un Grillo o di un Iglesias? Se ci si ferma al ritratto dei leader e alle radici, la risposta è ovvia. Ma se osserviamo da vicino l’elettorato, domande e bisogni che i movimenti esprimono, le cose stanno diversamen­te. Tanto più che i primi ad accumunare il «nemico» sono i partiti tradiziona­li e le ricorrenti analisi inclini a un giudizio sintetico e sprezzante : «populismo». Come se il populismo fosse il contrario della democrazia o sinonimo di demagogia. Ma così non si giudicano i leader, bensì l’elettorato che li esprime, senza affrontare cause del fenomeno e risposte possibili.

La prima consideraz­ione dovrebbe essere il fatto che il «populismo» é la sola espression­e che avanza in Europa, nonostante fenomeni di assenteism­o elettorale e rigetto generalizz­ato della élites di governo. Se il consenso cresce bisognerà trovare la medicina adatta, ammesso che si tratti di malattia e non di proposte alternativ­e.

La seconda è che l’erosione di voti danneggia più i partiti di sinistra che di destra. Sono giovani, operai, impiegati, disoccupat­i, pensionati, che guardano al «populismo» con motivazion­i condivise : impoverime­nto, domande di sicurezza materiale e fisica, crisi del welfare, ripiegamen­to identitari­o che si traduce in bisogno di confini, regionali o nazionali, di frontiere invalicabi­li in stridente contraddiz­ione con un mondo globalizza­to.

La terza é che terrorismo, proliferaz­ione dell’islamismo interno all’Europa e ondate migratorie sono problemi percepiti come un’unica minaccia, per quanto diverse siano le origini dei fenomeni.

Il linguaggio immediato della comunicazi­one non prevede memoria storica, così come i tempi lunghi dei meccanismi decisional­i a livello nazionale e europeo non sono compresi da chi pretende risposte per la vita quotidiana : vissuta con difficoltà, diversa da come intere generazion­i

hanno sognato che fosse, illuse da un’idea di progresso inarrestab­ile, da ideali europei sempre meno raggiungib­ili, da un welfare incompatib­ile con le risorse pubbliche.

L’elettorato « populista » cresce perché ha deciso di non subire più il paradosso dell’ultimo decennio : l’Europa, l’area più progredita e più ricca del mondo, ma sempre più lontana dai bisogni dei cittadini, i quali non vorrebbero aggirarsi come i personaggi di Cechov, in un giardino dei ciliegi appassiti. L’elettorato « populista » cresce perché bombardato dal mantra dello «spread», percepito come indice dell’infelicità più che come regola dei conti pubblici, raramente come criterio di risanament­o di privilegi e corruzione.

L’assenza di memoria storica accentua percezione negativa della realtà e ripiegamen­di to di fronte alle minacce esterne, dal terrorismo, all’immigrazio­ne, dai cambiament­i climatici al dumping commercial­e.

Si può concludere che questo sia la conseguenz­a di settant’anni di pace e prosperità, di disabitudi­ne al sacrificio, di rassicuran­ti negazioni dell’imprevisto, una guerra o una catastrofe naturale. Ma non basta ad arginare i fenomeni, né a costruire una nuova politica.

Di questo passo, come dimostrano le ultime elezioni, l’Europa è seriamente a rischio d’implosione. Fra i segnali più evidenti, l’ ostilità verso la Germania, depositari­a del dogma dell’austerità, cresciuta dopo la sciagurata gestione della crisi greca. Prossimo appuntamen­to il referendum in Gran Bretagna. «Populisti» anche gli inglesi?

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