Corriere della Sera

L’amore ci raggiunge attraverso facce sconosciut­e che con il loro esultare ci restituisc­ono la nostra vita e il disegno di Dio

- Di Julián Carrón*

aro Direttore, è sempre più frequente che la gente si stupisca di gesti semplici di umanità a cui non diamo quasi più valore, tanto ci sembrano normali, abituali. In un centro di accoglienz­a un volontario chiama per nome un profugo pachistano, alla domanda se preferisce pasta in bianco o al sugo, carne o pesce, quello scoppia a piangere per la commozione. Una giovane manda un sms a un bulgaro appena incontrato: «Come stai?»; l’uomo è stupito che una persona quasi sconosciut­a si interessi di lui. Potrei raccontare all’infinito episodi di questo genere. Possono essere gesti semplici, come quelli accennati, oppure eclatanti: pensiamo a quei tedeschi e austriaci che sono corsi ad accogliere i profughi alla frontiera e ai tanti che ogni giorno soccorrono coloro che sbarcano sulle coste italiane. Sembra niente di fronte alla enormità dei problemi, eppure il loro effetto è tanto dirompente in coloro a cui capitano, quanto può apparire banale, insignific­ante e scontato a noi che vediamo accadere questi episodi.

Un semplice atto di buona educazione è sufficient­e per spiegare la loro sorpresa? Per poter guardare così un profugo e per potersi rivolgere così a un estraneo, occorre qualcosa di cui abbiamo quasi perso coscienza. Continuand­o a piangere, il profugo racconta degli anni trascorsi in un’altra parte del mondo, dove il suo datore di lavoro non l’aveva mai chiamato per nome e dove si sfamava con una ciotola di riso. Ma ora qualcuno lo chiama per nome e gli domanda perfino che cosa desideri mangiare.

Da troppo tempo abbiamo smarrito la consapevol­ezza dell’origine di questo sguardo sull’uomo e così facendo possiamo anche perdere la familiarit­à con i gesti nati da esso. Per questo abbiamo bisogno che l’altro ci ridoni, attraverso lo stupore del suo volto, la coscienza della nostra storia e di quello che portiamo.

Che cosa ha generato questo sguardo all’altro, questa stima nei suoi confronti che desta in lui tanta meraviglia? Non dipende certo dal fatto che noi siamo «più bravi». Sempliceme­nte noi appartenia­mo a una storia che è iniziata con l’antico popolo di Israele. Una storia che ci ha generati facendoci percepire tutta la commozione di Dio per noi, aldilà delle nostre capacità, come dice il profeta Isaia: «Esulta, o sterile che non hai partorito, prorompi in grida di giubilo e di gioia, tu che non hai provato i dolori». Un Dio che, malgrado tutti i

UN MODELLO IN CRISI

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