«Quel parallelo con il contro choc dell’86, il prezzo crollò a 9 dollari»
«Siamo in una situazione simile al contro choc petrolifero di fine 1985-inizio 1986, quando vi fu un crollo del prezzo del petrolio. In quell’anno scivolò a 8-9 dollari, riducendosi di due terzi». Luigi De Paoli, professore di Economia dell’energia all’Università Bocconi, ritorna agli anni Ottanta quando si creò una situazione analoga all’attuale: un prezzo basso del greggio (ieri il Brent era a 36 dollari) dovuto a un eccesso di offerta rispetto alla domanda e con l’Arabia Saudita protagonista.
Cosa accadde?
«Negli anni successivi alla seconda crisi petrolifera si ebbe un eccesso di offerta di petrolio. L’Arabia Saudita cercò inizialmente di difendere il prezzo riducendo la propria produzione rispetto agli altri membri dell’Opec: passò da 9 milioni a circa 2,5 milioni di barili al giorno finché, con il prezzo a 31 dollari, non ebbe più margini per mantenere il taglio della produzione. Allora passò da una strategia di difesa del prezzo a una di difesa della quota di mercato. L’eccesso di offerta portò a un crollo del prezzo. Il barile è rimasto a 12-15 dollari, raggiungendo al massimo i 18 dollari, fino al 1998».
Che effetti avrà un prezzo così basso del greggio?
«Tradizionalmente il prezzo basso riduceva il tasso di inflazione, spingeva competitività e produttività, contribuiva a creare occupazione. Ma negli anni Ottanta l’inflazione era
Negli anni 80 l’inflazione era sopra il 10% mentre adesso il rischio deflazione è un pericolo
sopra il 10%, mentre adesso con il tasso quasi a zero un rischio deflazione è visto come un pericolo per l’economia».
Che vantaggi ci sono per un Paese importatore di energia come l’Italia?
«Il vantaggio è meno forte rispetto al passato quando dipendevamo dal petrolio per oltre il 70% mentre ora siamo sotto il 40%. Comunque il prezzo del petrolio così basso vale un mezzo punto di Pil in più. Il sistema economico ne risente positivamente, anche se alcune realtà ne soffriranno, come ad esempio Eni o Saipem o le società che esportano nel Golfo Persico. Ma anche l’edilizia e l’immobiliare, che dipende in parte dagli investimenti dei fondi arabi».