Il testo di Norman Lewis pubblicato dalle edizioni Edt Un inglese tra i sardi di Orgosolo Ferocia e incanto della vita arcaica
Aveva 18 anni ed era la più bella ragazza di Orgosolo, Bannedda Corraine, la lamentatrice che con i suoi canti sapeva intenerire i cuori più duri. Scoprì la vocazione quando il fratello, nel corso di una disamistade — la vendetta sarda —, fu ucciso. «Vradi meu Carmino, porcellana e plattina...»: «O mio fratello, di porcellana e di platino/ della qualità più dura di platino e porcellana!/ Dov’è, Carmine Moro, il brillar dell’argento/ i sonatori, tutti d’oro che ci lasci?»
Parla di Bannedda, Norman Lewis, lo scrittore di viaggi e di romanzi, nel suo I banditi di Orgosolo, un prezioso e intelligente libretto scritto nel 1986, uscito ora per la prima volta in italiano nelle edizioni Edt, con 24 fotografie assai belle di Pablo Volta vissuto a lungo in Sardegna.
I lamenti di Bannedda, dice Lewis, «hanno la passionalità e le immagini ardite della poesia di García Lorca, in alcuni versi perfino del Cantico dei cantici, e sono ancora cantati a Orgosolo nelle veglie funebri». Lewis, che Graham Greene definì uno dei maggiori scrittori del Novecento, era arrivato in Sardegna dopo la morte di due coniugi inglesi, Edmund e Vera Townley, assassinati nel 1962 su un pianoro della Barbagia dove erano giunti dal Kenya per restarvi a vivere nella meraviglia del paesaggio mediterraneo. Il doppio omicidio aveva sconvolto l’isola, anche il mondo dei banditi, perché il codice della vendetta barbaricina che inizia con la terrificante frase: «L’offesa deve essere vendicata, non è un uomo d’onore chi si sottrae al dovere della vendetta», esclude nel suo penultimo articolo, il numero 16, la violenza contro l’ospite.
Per lo scrittore inglese — in italiano Adelphi ha pubblicato il suo Napoli ’44, un diario sulla Seconda guerra mondiale — l’assassinio dei due coniugi è il punto di avvio, quasi il pretesto, per un’indagine appassionata su un mondo arcaico. Con le lamentatrici Lewis scopre i trovatori, sos poetas: gli ziganti forestali, i mediatori di pace, i pastori con le launeddas, le cornamuse a tre canne, è affascinato dai racconti delle feste religiose dove, al momento culminante, appaiono i mamutones, gli spiriti degli antenati, vestiti di pelli di pecora e con maschere tragiche intagliate nel legno.
Scopre non soltanto le antiche tradizioni. Gli si svela crudamente la Sardegna tragica, l’isola delle infinite faide tra le famiglie dei banditi onorati perché hanno rispettato i codici della vendetta, dei semibanditi, i dogau, informatori segreti che vendono per guadagno i complici alla polizia.
I «tragici destini» delle croci del cimitero di Orgosolo fanno da luttuoso contrasto con la storia e con la natura meravigliosa della Sardegna, «un paradiso archeologico costellato di dolmen, di “tombe dei giganti” preistoriche, di nuraghi, di cimiteri punici, di santuari degli dei di Cartagine e di Roma», sullo sfondo del Supramonte, «l’acropoli del vero uomo » , un paesaggio apocalittico, con le sue grotte, i suoi valloni, le sue rocce a strapiombo ricoperte di ginestre, di arbusti di ginepro, di querce secolari.
Doveva aver letto, Lewis, La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico, di Antosorta nio Pigliaru, un testo classico del 1959, e anche la famosa Inchiesta a Orgosolo, di Franco Cagnetta, pubblicata da «Nuovi Argomenti» nel 1954. Ma le sue impressioni, i suoi giudizi hanno la freschezza di chi fatica a nascondere lo stupore davanti a quel che viene a conoscere: la storia di un prete a capo di un gruppo di famiglie malavitose — «sinistro uomo di chiesa» — capace di far dichiarare banditi i suoi avversari; la storia di un banchetto di riconciliazione tra famiglie di banditi al quale prendono parte il prefetto, il vescovo di Nuoro, un deputato, ufficiali di polizia, ricchi possidenti: «Funzionari dello Stato e pluriomicidi con enormi taglie sulla testa, si abbracciarono e si ubriacarono insieme», commenta Lewis.
Lo scrittore è preso da una