MUSICA, SOGNO: L’ARTE LUCENTE DI FALCONI
el cuore di ogni abruzzese respira la memoria di D’Annunzio (…), quasi si fosse trattato di riscrivere ciò che D’Annunzio aveva detto e fissato per sempre. Da qui le scelte di Falconi: restare nel suo tempo e insieme ripetere le parole magiche del poeta». Così Carlo Bo, a proposito della mostra monografica di Gigino Falconi dedicata, nell’88, al cinquantenario della morte del principe di Montenevoso.
Nonostante questo ciclo dei dipinti, Falconi ha sempre avuto un rapporto di amoreodio con D’Annunzio («Abbiamo una umanità diversa: io con i miei scrupoli, rimorsi, pentimenti, mentre lui schiaccia tutto. Mi irrita»). Ma lo affascina, anche. Eleganza, stile nell’evocare luoghi, paesaggi: soprattutto ne Il fuoco, ne Il piacere e nell’Alcyone, là dove Falconi riscontra delle comunanze con l’amato Dostoevskij. Ma come in tutti i rapporti ambigui, il pittore non riesce a rimuoverlo, anche se vorrebbe. E così, ancora una volta, si sente «costretto» a rievocarlo ( Gabriele e la farfalla, 2013).
Il dipinto fa parte dell’antologica che il Museo civico di Teramo dedica all’artista di Giulianova (1933), curata da Giuseppe Bacci: 80 lavori dal 1953 ad oggi (catalogo Centro Stauròs, pp. 178, € 15). Dai primi abbozzi figurativi ad una sorta di Informale, da qualche eco di Hopper al recupero di Vermeer, dallo splendore muliebre di Boucher (di cui Falconi sembra l’erede diretto) all’immobilità di Böcklin, alla teatralità di Balthus. Per approdare, infine, al sogno della bellezza dei corpi, la cui «sensualità tattile e luminosa», per dirla con Mario Luzi, «a forza di essere esibita con una specie di impertinenza fatale e festosa, finisce per trasfondere in una visione più complessa, più estatica e più enigmatica la sua energia provocatoria».