«Farò ridere con un uomo senza qualità»
Fabio De Luigi diventa regista: sul set di «Tiramisù» riscopro la generosità di Pippo Franco
L’idea di partenza è venuta a Gennaro Nunziante, regista e co-autore di Checco Zalone, nonché amico e compagno di strada di Fabio De Luigi fin dal televisivo «Love Bugs». È stato lui, insieme a Maurizio Totti e Alessandro Usai di Colorado, a convincere De Luigi a debuttare come regista. «Un po’ per pudore avevo sempre detto di no. Ma Gennaro è riuscito a far cadere le mie resistenze». Ingredienti principali: un tiramisù di rara bontà e un protagonista rassegnato a una vita senza scossoni, salvo scoprirsi pronto a perdere l’innocenza passando dalla mitezza dello sconfitto all’arroganza del potente.
Girato tra Roma, Trevignano e Ostia con una compagnia di attori composita — lo stesso De Luigi, Vittoria Puccini, Angelo Duro (Le Iene), Alberto Farina, e due veterani come Orso Maria Guerrini e Pippo Franco — uscirà il 25 febbraio 2016 distribuito da Medusa.
Scriverlo non sarà stato semplice: lei non ama spostarsi da Sant’Arcangelo, Nunziante dalla Puglia.
«Vero, noi provinciali facciamo fatica a star troppo lontani da casa. Ma la tecnologia oggi aiuta. Lunghe sessioni a distanza, abbiamo consumato Skype».
Cosa racconta « Tiramisù»?
«La storia di un uomo senza qualità, Antonio Moscati, che interpreto io, una brava persona, rappresentante di materiale sanitario, garze, bende, cerotti, siringhe, uno che nelle sale d’attesa dei medici sta un gradino sotto agli informatori scientifici. Un colpo del destino, l’ottimo tiramisù cucinato dalla moglie, diventa grimaldello che gli apre contatti che lo portano sempre più in alto, salvo arrivare a un punto dove perde la testa. Inizia a sporcarsi le mani, accetta compromessi, diventa un’altra persona».
È una commedia, genere diffuso ma difficile.
« Difficilissimo. E anche abusato. È che la commedia si mette su tutto, come il bianco e come il nero, e comprende cose diverse. Serve un aggettivo per definirla: romantica, comica, raffinata, alta, bassa, grassa. Nel mio caso dovendo misurarmi con una cosa nuova, la regia, volevo essere comodo nel mio ruolo».
Più difficile dirigere o recitare?
«Si veleggia sul bipolarismo. A volte sono un pignolo, controllo tutto per non avere sorprese. L’unico problema è che a volte mi dimenticavo di recitare. Ora siamo al montaggio, dove i tempi comici devono essere perfetti: far ridere è l’arte più difficile».
Ha voluto due comici nuovi, Duro e Farina e uno praticamente dimenticato come Pippo Franco.
«Volevo una commedia con forti accenti comici, mi servivano due complici, con Angelo e Alberto mi intendo bene. Ho voluto compagni di strada con l’entusiasmo dei neofiti. Pippo Franco è stato molto generoso, il suo è il personaggio più idealista. Vittoria mi sembrava giusta come Aurora: lei è molto rigorosa, mi sono divertito a sporcarla un po’, a farle tirare fuori il suo lato comico».
E Orso Maria Guerrini?
«Mi incute molta soggezione: quando gli ho proposto il ruolo del potente capo di una multinazionale farmaceutica, ero nervosissimo. È una persona squisita».
Non le manca la tv, il commento del quotidiano attraverso i suoi personaggi?
«Sì, ogni tanto mi verrebbe voglia di avere uno spazio. Nel nostro Paese la cronaca offre suggestioni continue».
Cosa la fa ridere più di tutto?
«Peter Sellers, tutta la vita. L’opera omnia, da Hollywood party a Oltre il giardino passando per Il dottor Stranamore. E poi Fantozzi, ma anche Sordi e Totò, Stanlio e Ollio: la comicità pura. Mi piace che arrivi la risata vera, di pancia».