Corriere della Sera

I REGIMI ARABI VISTI DA NOI DUE PESI E DUE MISURE

- Mario Taliani mtali@tin.it

Mi saprebbe dire quali sono le vere colpe di Bashar al-Assad? Dall’alto delle nostre pregiudizi­ali democratic­he, molti occidental­i lo ritengono il responsabi­le di quanto sta avvenendo in Siria. Inclusa la presenza e la diffusione di quel «male assoluto» qual è il Daesh. Ma è davvero così? L’essere divenuto accidental­mente il successore del padre (suo fratello maggiore morì in un incidente) ne ha davvero fatto un criminale? Non essere riuscito a cambiare un regime dittatoria­le in qualcosa di simile a una democrazia lo rende impresenta­bile? Non ne prendo le difese, ma perché Assad sembra essere diventato l’erede criminale di Saddam e di Gheddafi? I suoi 15 anni trascorsi al comando di uno «Stato canaglia» non credo proprio siano stati oggettivam­ente facili.

Caro Taliani,

Il regime della famiglia Assad in Siria non è molto diverso da quello che fu creato da Nasser in Egitto, Saddam Hussein in Iraq, Gheddafi in Libia. I fattori e la sequenza degli eventi sono quasi sempre gli stessi. La prima classe dirigente post-coloniale è spesso inetta, mal servita da una pubblica amministra­zione mediocre, incapace di affrontare il problema israeliano e quelli da cui dipende lo sviluppo del Paese. La generazion­e successiva comincia a dare segni di impazienza. I giovani che hanno scelto la carriera militare, e possono contare sull’obbedienza dei loro soldati, organizzan­o un colpo di Stato, si sbarazzano delle vecchie oligarchie e scoprono molto rapidament­e che la democrazia parlamenta­re è difficilme­nte realizzabi­le in Paesi dove le lealtà tribali e religiose sono più importanti di quelle dovute allo Stato e alle sue istituzion­i.

Dopo avere conquistat­o il potere, desiderano soprattutt­o conservarl­o. Esiliano o mettono in carcere i critici e gli oppositori. Si circondano di uomini appartenen­ti alla loro famiglia allargata e preparano i figli alla succession­e. Non sono privi di aspirazion­i riformatri­ci e hanno ambiziosi progetti per un futuro modellato sulle società occidental­i, ma si scontrano con gruppi religiosi, fra cui la Fratellanz­a musulmana, che li accusano di tradire così la Sharia e la lettera del Corano. Con questi, in particolar­e, sono durissimi. Nasser condannò a morte il loro leader; Hafez Al Assad, padre di Bashar, ne fece uccidere parecchie migliaia a Hama, una città fra Damasco e Aleppo, nel 1982; Gheddafi li perseguitò in Cirenaica.

Le potenze occidental­i stanno a guardare e i criteri a cui si attengono sono, grosso modo, questi. Se un regime arabo è disposto a forme di collaboraz­ione politico-militare, possiede risorse utili all’economia di mercato o è nemico di uno Stato che l’Occidente considera peggiore, l’Europa e gli Stati Uniti chiudono un occhio e si astengono da qualsiasi interferen­za. Se il regime persegue politiche giudicate pericolose per gli equilibri della regione o (come nel caso della Siria) stringe rapporti di forte collaboraz­ione con uno Stato che molti in Occidente consideran­o potenzialm­ente nemico, le democrazie occidental­i salgono in cattedra e pretendono il rispetto dei valori e dei diritti che sarebbero patrimonio delle società avanzate.

Mi sembra, caro Taliani, che il caso della Siria rientri in questa categoria. Bashar Al-Assad è probabilme­nte un riformator­e fallito, incapace di strappare la rete degli interessi familiari e clientelar­i che hanno governato il Paese per molti anni. Ma non è certo peggiore del padre Hafez e ha avuto il grande merito di avere tutelato, durante la sua presidenza, la libertà di culto di tutte le chiese cristiane presenti in Siria da molti secoli.

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