Corriere della Sera

Le ragioni di un dissidio (destinato a durare)

Bankitalia: ingiusto «bruciare» obbligazio­ni. La deducibili­tà dei contributi per le banche

- Di Federico Fubini

Nonsi ricorda nei decenni di storia comunitari­a una disfida del genere, a colpi di carte e controdedu­zioni su un evento già consumato. Chiuso, deciso. Con vincenti e perdenti, ma comunque tale da non poter essere più cambiato.

Non lo si ricorda sicurament­e fra l’Italia e la Commission­e Ue, eppure l’intensità degli scambi è tale da far sospettare che questo non sia tanto uno scontro sul passato. La politica entra in fibrillazi­one solo quando la posta in gioco è il futuro.

La vicenda dei quattro istituti «risolti» riparte da qui: da ciò che rivela sul ruolo delle banche e sul posto dell’Italia nell’area euro da oggi in poi. La prima evidenza è che l’unione bancaria è entrata subito in tensione: per far fronte ai dissesti esistono solo risorse nazionali, ma versate sulla base un punitivo sistema di regole comuni fatte rispettare dall’esterno. Per quanto discutibil­i siano le norme europee appena entrate in vigore, molti protagonis­ti nel Paese vi sono arrivati impreparat­i. Non erano mancate le messe in guardia: il 23 ottobre del 2013 la Banca centrale europea aveva reso nota una lettera in cui concordava in principio con l’idea di far assorbire certe perdite delle banche ai creditori più esposti; ma notava che è saggio non applicare le norme in modo impropriam­ente restrittiv­o. La stessa Banca d’Italia nel novembre del 2013 aveva avvertito dei problemi nelle nuove norme; aveva ricordato il rischio che, bruciando obbligazio­ni emesse prima sulla base ai altre leggi, si violassero i diritti di proprietà dei trattati europei.

In Italia non se n’è accorto nessuno. La politica non ne ha parlato, benché a fine febbraio 2014 abbia votato praticamen­te in blocco per la nuova direttiva bancaria, sia nell’europarlam­ento che nel Consiglio dei ministri Ue.

Il resto della posta in gioco però è anche più complesso, perché riguarda il ruolo dell’Italia nell’area euro. Ed è qui che i dissensi fra Roma e Bruxelles sui bilanci bancari diventano importanti. L’operazione sulla Cassa di Teramo, con contributi volontari e fiscalment­e deducibili da parte delle altre banche, dimostra che il Paese sa ancora trovare soluzioni efficienti. Ma è sul «salvataggi­o» di Banca Etruria e Marche e delle Casse di Ferrara e Chieti che gli scogli europei sono venuti fuori. Nel suo rapporto di ieri il Tesoro fa capire che l’intervento del Fondo interbanca­rio era stato disegnato dal governo e della Banca d’Italia in modo rigoroso, ma non traumatico. Le perdite sui crediti inesigibil­i dei quattro istituti sarebbero state quelle già registrate dalla gestione straordina­ria dei commissari. Il capitale sarebbe stato abbattuto, non cancellato o portato in negativo. Azzerati o quasi i soci, per ricostitui­re il patrimonio sarebbe bastato convertire in azioni le obbligazio­ni subordinat­e. Ci sarebbero state perdite, non un disastro. E dal Fondo interbanca­rio di tutela dei depositi sarebbe stata sufficient­e un contributo da 2,2 miliardi.

È qui che la Commission­e Ue ha frenato. Per lei le banche andavano «risolte» in base alla nuova normativa europea, cioè liquidate salvandone le parti buone. Gli obbligazio­nisti subordinat­i e gli azionisti dovevano perdere tutto per sempre. Costo dell’operazione (finanziato dal Fondo di risoluzion­e, sempre pagato dalle altre banche italiane), 3,7 miliardi.

La chiave è in quella differenza di un miliardo e mezzo fra 2,2 e 3,7. Sappiamo infatti che la soluzione impostasi, quella gradita a Bruxelles, svaluta i crediti in default delle quattro banche fino ad appena al 17,6% del valore originario. Si può dunque immaginare che l’operazione da 2,2 miliardi proposta dall’Italia trattasse quegli stessi crediti al valore di bilancio intorno al 40%: un miliardo e mezzo di perdite in meno. Quel prezzo al 17,6% che piace a Bruxelles è da liquidazio­ne, da vendita al più presto domattina. Il 40% che prevale nei bilanci delle banche in Italia per i crediti in difficoltà invece è un valore di lungo periodo: a volte dietro ci sono anche ville a garanzia, o aziende in crisi che ripartono. E questa forbice fra le due letture è esattament­e ciò che oggi blocca un intervento di sistema in Italia per rimuovere dalle banche italiane ben 200 miliardi di prestiti in default.

Questa misura complessiv­a del governo resta urgente. Serve a rimettere a posto il sistema del credito nel Paese e far ripartire gli investimen­ti. Ma applicare a tappeto ai prestiti in default gli sconti da liquidazio­ne stimati da Bruxelles, equivale a far emergere un brutale, sproporzio­nato buco nei bilanci delle banche italiane. Per questo si è arrivati allo stallo. E stare fermi, quando serve una ripresa, è davvero scomodo.

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