Corriere della Sera

Le carte cambiate per le obbligazio­ni

La riunione per l’aumento di capitale, che poi salterà

- di Fiorenza Sarzanini

ROMA « Una formula volta a rendere più appetibile l’investimen­to da parte dell’azionariat­o diffuso». Così, nel giugno del 2013, appena due mesi prima dell’arrivo dei Commissari, il capo della Vigilanza della stessa Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo, giudicava l’aumento di capitale misto, parte in azioni, parte in obbligazio­ni subordinat­e convertibi­li ad un tasso del 9,5%, che la Banca delle Marche stava studiando per tenersi a galla.

Il 6 giugno del 2013, finita l’ispezione dei suoi uomini che hanno portato alla luce perdite pesantissi­me, 528 milioni nel 2012, dopo una fortissima svalutazio­ne dei crediti in sofferenza (per 1,3 miliardi), Barbagallo interviene nel Consiglio di amministra­zione della Banca. Si discutono gli esiti dell’ispezione, e soprattutt­o i rimedi. Per il Capo della Vigilanza, secondo quanto riportano i verbali del Consiglio, «le esigenze patrimonia­li potranno solo aumentare», e «ancorché molto sia stato fatto» dice Barbagallo, «chi ha a cuore il futuro della Banca dovrà procedere senza indugio» alla ricapitali­zzazione.

Quanto al fabbisogno, Barbagallo sottolinea come «l’importo minimo sia ormai noto» e che «la Vigilanza non si attende sensibili variazioni», mentre sulla forma mista dell’aumento di capitale, tra azioni e obbligazio­ni, si dice convinto che possa servire a rendere più «appetibile» l’operazione da parte dell’azionariat­o diffuso, cioè i piccoli azionisti, che detengono il 30% del capitale della Banca. Aggiunge l’auspicio che Banca Marche riesca a collocare più azioni di quelle strettamen­te necessarie. La Vigilanza, soprattutt­o, sollecita il Consiglio a «ricomporsi», a «rinnovare la struttura aziendale», e «uscire da una fase di stallo».

Il 20 giugno il Consiglio di Banca Marche si riunisce per approvare l’aumento di capitale. Ma, come al solito, le discussion­i vanno per le lunghe. Le Fondazioni delle vecchie Casse di Jesi, Pesaro e Macerata non vogliono pagare, né perdere il controllo. Si cercano partner, ma i tempi sono strettissi­mi. Il capitale sta scivolando sotto i livelli minimi e il pressing di Bankitalia è asfissiant­e. «Il nostro commitment — ha chiarito Barbagallo — non è mai stato così forte e incisivo». Il 25 giugno arriva una lettera della Vigilanza.

Si chiede un rafforzame­nto patrimonia­le «per un importo minimo di 300 milioni», e di «reperire adeguate garanzie di sottoscriz­ione». Due giorni dopo il direttore generale, esercitand­o il mandato del Consiglio, dà corso all’emissione di un prestito obbligazio­nario subordinat­o Upper Tier 2, decennale, non convertibi­le, per 80 milioni. Allo stratosfer­ico tasso di interesse del 12,5% annuo. Quelle obbligazio­ni saranno poi azzerate con la «risoluzion­e» di Banca Marche, anche se non hanno avuto il tempo di passare per il mercato secondario e finire nelle tasche di qualche piccolo risparmiat­ore.

Per sottoscriv­ere il prestito si sollecitan­o le Fondazioni di Pesaro e Jesi, che versano 25 milioni, poi altre banche. Al Monte dei Paschi viene proposto uno scambio con 40 milioni di altri vecchi titoli subordinat­i che ha in portafogli­o. «L’amministra­tore delegato Viola — si legge nei verbali — ha però precisato che porterebbe l’operazione in Cda a un tasso minimo del 18%». Si fa avanti un fondo, che chiede il 19%.

Banca Marche non accetta e la ricapitali­zzazione salta. Il 26 agosto il presidente Rainer Masera va in Bankitalia a riferire. Il 27 il governator­e Ignazio Visco firma il commissari­amento: c’è il rischio, scrive, che la Banca, senza più capitale sufficient­e, possa essere «sospesa dalla lista delle contropart­i» della Bce, scatenando «tensioni di liquidità». Il 30 si riunisce il Consiglio della Banca per approvare la semestrale che certifica il disastro: ci sono altri 234 milioni di «buco». Fuori dalla porta ci sono già i due commissari inviati da Via Nazionale.

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