La scommessa vinta dall’Italia e il ruolo leader per la sicurezza
L’approvazione della risoluzione sulla Libia da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu è un atto scontato ma decisivo nella complessa partita diplomatica in corso.
Il voto a Palazzo di Vetro da un lato offre copertura agli impegni assunti a Roma dalla comunità internazionale nei confronti delle parti libiche, dall’altro riconosce il fragile processo di riconciliazione nazionale, avviato con la firma dell’accordo di Skhirat, come l’unico legittimo per chiudere la guerra civile, stabilizzare il Paese e dare soluzione politica alla crisi.
Anche se la parte più difficile comincia adesso e, come sempre in queste vicende, il maligno è in agguato nei dettagli, la nuova dinamica innescata nello scenario nordafricano segna un successo della diplomazia italiana e di Paolo Gentiloni, che con la conferenza di Roma avevano fatto una scommessa dall’esito per nulla scontato. Per la prima volta i «poteri forti» della crisi libica — Arabia Saudita, Qatar, Turchia, Emirati, Egitto — si sono impegnati a esercitare nei fatti la loro influenza per convincere anche i loro «protetti» a sottoscrivere l’intesa siglata in Marocco. Non è solo compito loro, ovviamente: tocca a tutti lavorare perché l’accordo riceva il massimo di adesioni possibili, oltre i firmatari originari.
Serviranno infatti anche ad ampliare la base di consenso, i 40 giorni previsti per la formazione del governo di unità nazionale e del consiglio presidenziale, incaricato di nominare i vertici della Banca centrale e dell’Ente petrolifero nazionale. Solo a quel punto, il nuovo esecutivo potrebbe chiedere alla comunità internazionale garanzie di sicurezza e assistenza militare. Se del caso, sarebbe probabilmente necessaria una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza, con esplicito riferimento al capitolo 7 della Carta dell’Onu.
In realtà, definendo la crisi libica «un pericolo per la pace e la sicurezza internazionale», il testo approvato ieri offre già una base legale a quei Paesi che intendano «assistere il governo di unità nazionale», sollecitandone il sostegno «se richiesto», a fronte di minacce di Daesh e di gruppi contigui come Ansar al Sharia e Al Qaeda. Non è un mistero che francesi e britannici abbiano già in avanzato stato di elaborazione piani di intervento dal cielo contro le postazioni Il capo del Pentagono: Roma ha la leadership in eventuali operazioni di sicurezza in Libia jihadiste in Libia.
Per l’Italia, il passo in avanti segnato a Palazzo di Vetro avvicina anche il momento della verità. Ieri, al telefono con il ministro della Difesa Roberta Pinotti, il capo del Pentagono, Ashton Carter, ha confermato che gli alleati americani e gli altri membri permanenti del Consiglio di Sicurezza riconoscono al nostro Paese la leadership di ogni eventuale operazione di sicurezza riguardante la Libia. Sarà il futuro governo, per il quale insediarsi a Tripoli sarebbe già un grosso successo, a decidere la qualità e il tipo dell’aiuto esterno. Ma in un Paese infestato da milizie armate fino ai denti, è più probabile che le garanzie di sicurezza richieste riguarderanno addestramento militare, formazione delle forze di sicurezza, protezione di siti strategici, tutte cose nelle quali l’Italia ha sempre primeggiato.
Colloquio con Pinotti