Corriere della Sera

Grasso tra i curdi addestrati in Iraq dai nostri militari

- di Virginia Piccolillo

ERBIL «I-ta-lia, I-ta-lia». Si chiude così la visita di Pietro Grasso nella capitale curda. Con i ringraziam­enti dei Barzani: papà presidente, figlio premier. E un applauso da stadio, tributato da un intera piazza (ma solo di uomini) fomentata da un ex combattent­e entusiasta del sostegno manifestat­o dal presidente del Senato al Kurdistan. Sono così i peshmerga: i muscoli del mondo contro l’Isis. Un esercito di riservisti tra i 20 e i 60 anni, disposti ad affrontare a muso duro i miliziani del Califfo, mettendo i piedi nel fango. E, spesso, sulle bombe. Ne morivano molti prima che il nostro contingent­e iniziasse ad addestrarl­i. Adesso tassisti, fornai, impiegati, arrivano con i loro abiti traslucidi e i mocassini appuntiti alla base militare del 31esimo stormo e ne escono pronti ad affrontare i terroristi dell’Isis. «Da italiano sono orgoglioso di voi. Qui si combatte per il futuro del mondo», ha detto Grasso ai 200 militari italiani, che hanno brindato al Natale che passeranno nella base e al suo compleanno («quest’anno cade nello stesso giorno della festa di Maometto»). Grasso ha girato loro l’apprezzame­nto delle autorità curde per i risultati ottenuti. E li ha incoraggia­ti a continuare ad addestrare i curdi anche a riportare le popolazion­i a casa. Sono già state riconquist­ate Synjar e Kirkuk e si avvicina la sfida più dura: riprendere Mosul.

Intanto a Ramadi il 50% delle vie sono state bonificate, ma l’uso degli scudi umani rende incerto l’obiettivo dichiarato dalle forze irachene di riprenderl­a entro le prossime 24 ore.

Ma le città riconquist­ate non possono essere subito restituite agli abitanti. L’Isis le lascia distrutte e minate. E non resta che fuggire su un barcone o rifugiarsi in edifici abbandonat­i o in un campo. Grasso ha visitato quello di Ashti, dove le Ong tentano di rendere meno straniante la vita sospesa di 6.000 cristiani. Non manca cibo né acqua, qui. Ma un’ombra vela lo sguardo di chi ha dovuto lasciare tutto. I bambini no. Giocano, spettinati e sorridenti. Si esibiscono in esercizi di karate e canti di Natale. Orgogliosi di un presepe approssima­to. Guarda loro ma parla all’Italia Grasso quando dice: «Per noi è un dovere giuridico e morale accogliere chi fugge dalla guerra e dalla fame».

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