«Inneggiava all’Isis», fermata ricercatrice libica. Ma il gip la libera Palermo, imposto l’obbligo di dimora alla donna: «Nessun pericolo di fuga». Il procuratore: «Misura inadeguata»
L’ha ritenuta «attigua, organica e propositiva ad una organizzazione terroristica di matrice islamica per la quale svolge attività di propaganda a mezzo web», ma il gip Fernando Sestito ha subito fatto uscire dal carcere Khadgia Shabbi, 45 anni lunedì prossimo, nata a Bengasi, nonostante dalla sua casa di Palermo abbia inneggiato ad Al Qaeda e all’Isis facendo partire appelli alla guerra santa e augurando con messaggi espliciti la morte ai nemici del califfato: «Allah brucerà il loro cuore».
Matura attorno ad una casetta con i balconi su via Albergheria, nel malandato cuore della città vecchia, questa pagina di terrorismo che fa esplodere una guerra in tribunale. Fra la Procura della Repubblica che crede alle indagini della polizia e il Gip che, pur ammettendo la gravità dei comportamenti, impone alla donna solo l’obbligo di dimora con rientro a casa alle 8 della sera, fino alle 7 del mattino, ma senza intravedere «né pericolo di fuga né pericolo di inquinamento probatorio». Con disappunto del procuratore Franco Lo Voi: «Misura del tutto inadeguata all’intensissima rete di rapporti...». Pronto all’impugnativa con l’aggiunto Leonardo Agueci e con il sostituto Geri Ferrara, a sua volta sorpreso davanti alle 75 pagine dell’ordinanza che conferma tutti i dubbi sulla personalità di Khadgia Shabbi annullando però la custodia cautelare.
Sono proprio i comportamenti di questa donna un po’ avanti negli anni come studentessa ad agitare le riflessioni di colleghi e docenti universitari. A cominciare dal neodirettore del dipartimento Marcello Chiodi che, da ex coordinatore scientifico, ricorda bene quando nel 2013 si trovò davanti quella ragazza arrivata dalla Libia per le selezioni: «Un italiano accidentato, il velo sempre assicurato attorno al volto, volenterosa...».
Poi dal 2014 dottoranda senza borsa di studio con contratto che scadrà nel dicembre 2017, come ricostruisce Chiodi, un intellettuale che ha conosciuto la ferocia della mafia da vicino, marito della figlia di Libero Grassi. Adesso per la prima volta davanti alla Digos che indaga su tanti contatti con Turchia e Libia. Compresi scambi di denaro per cifre che non superano mai i 999 euro. E su molti inquietanti messaggi di questa donna decisa a invocare vendetta per un nipote caduto come «martire» in Libia, Abdulrazeq Fathi al Shabbi, fotografato in tuta militare su un pick-up, elmetto e giubbino antiproiettile, una bandiera nera in mano con scritto «Non c’è Dio all’infuori di Dio e Mohammed è il suo profeta».
Vendetta a lei promessa dagli interlocutori di «Ansar al Sharia Libya», l’organizzazione nata attorno alla città libica di Derna, alleata con l’Isis e inserita dal novembre 2014 nella lista nera del terrorismo dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.