Corriere della Sera

LA RETE DI SICUREZZA, IL PILASTRO CHE MANCA NELL’UNIONE BANCARIA

Opposizion­e La Germania ritiene che si potrà pensare a una assicurazi­one europea solo quando diminuirà l’incidenza del debito pubblico sui bilanci

- Di Salvatore Bragantini

Nel 2016, con il nuovo regime dei salvataggi, andrà completata l’Unione bancaria avviata nel ‘14, sciogliend­o il nodo dell’assicurazi­one sui depositi; la partita si giocherà sul peso del debito pubblico, ritenuto con quella incompatib­ile. Su questo tema si deciderann­o i destini dell’euro e in definitiva della Ue.

Per Jens Weidmann, presidente Bundesbank, l’euro deve replicare il Deutsche Mark, perché questo è stato promesso ai tedeschi. Conta, invece, quanto sta nei Trattati, riflesso dell’intesa franco-tedesca che partorì la moneta unica: la Germania rinunciava al monopolio della politica monetaria europea per condivider­lo con altri, anzitutto la Francia che, potendolo fare, non bloccò l’unificazio­ne, meta storica della leadership tedesca.

L’Unione bancaria deve riunificar­e il mercato europeo, ora segmentato dalla crisi, rompendo il circolo vizioso fra la solvibilit­à delle banche e quella degli Stati i cui titoli detengono. È una complessa costruzion­e, basata su una regolament­azione unica per tutta la Ue. Per sostenerla nell’eurozona servono tre pilastri, di cui due esistono già: un unico vigilante, il Single Supervisor­y Mechanism e un Fondo di Risoluzion­e, che salirà (troppo gradualmen­te) a 55 miliardi. Manca un pilastro, l’assicurazi­one europea dei depositi. A fine novembre la Commission­e Ue ne ha proposto uno schema, che la Germania ora rigetta. Per Weidmann e per il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, si potrà pensare ad un’assicurazi­one europea solo quando l’incidenza dei titoli del debito pubblico di uno Stato sui bilanci delle banche sarà scesa molto; nel frattempo, esse dovranno appostare capitale per coprirne i rischi, altrimenti una crisi del debito di quello Stato metterebbe a rischio la banca e i depositi che raccoglie, facendo scattare la responsabi­lità di altri Stati. Ovviamente, per loro chi va in crisi sarebbe l’Italia, e alla Germania toccherà tappare i buchi. Serve una pazienza infinita per reiterare quanto la leadership tedesca sa ma tace. Che l’Italia non è costata un euro ai contribuen­ti degli altri Paesi; il nostro debito pubblico è invece salito di 60 miliardi, versati per salvare altri Paesi permettend­o alle banche tedesche e francesi di rientrare dai crediti improvvida­mente concessi. Tanto per chi paventa sì i rischi dell’azzardo morale, ma solo a corrente alternata.

Il debito pubblico italiano pare eccessivo da 30 anni, di cui 15 con la lira e 15 con l’euro, eppure il calabrone sempre vola; chi lasciò il rischio Italia per i quieti lidi sudamerica­ni ancora si lecca le ferite. Certo, il nostro debito pubblico è la zavorra che, insieme ora ai crediti dubbi, strangola lo sviluppo; non va però dimenticat­o il basso livello del debito privato, e la disponibil­ità di valori finanziari delle famiglie (4.000 miliardi).

In ogni sistema finanziari­o servono «valori àncora», cioè privi di rischio: per definizion­e i titoli di Stato. Se si leva l’àncora, la nave va alla deriva. E se le banche devono disfarsi dei titoli pubblici italiani, che a quel punto perderebbe­ro il rating investment grade, in cosa investiran­no? Senza l’àncora, anche i titoli corporate italiani sarebbero venduti a man bassa; resterebbe­ro solo i titoli della Core Europe?

Che in un’unione monetaria ed economica, ma con mercati così segmentati, qualcuno di responsabi­le affermi di doversi premunire dalla crisi di debito di uno Stato sovrano, per di più grande, equivale ad urlare alla bomba in un teatro chiuso. Una follia, questa sì da controbatt­ere duramente nei vertici europei, a difesa non dell’Italia, ma di tutta la Ue; la cui moneta è l’euro, se il diuturno lavorìo delle termiti britannich­e non riuscirà a disfarla.

Senza una rete di sicurezza europea sui depositi, all’Unione bancaria manca un pilastro essenziale: lo ha ricordato più volte la Bce, per bocca del suo presidente. Ben lo sanno i mercati, che trarrebber­o presto le conseguenz­e se Berlino insistesse su quella linea; la finanza mondiale ci metterebbe un decennio a superare eventi come quelli che la leadership tedesca odierna — ombra di quella che fu — quieta prende in consideraz­ione apertament­e.

Fondamento del sistema finanziari­o è la fiducia, che tali affermazio­ni picconano. È difficile pensare che chi le fa ne ignori la gravità; cosa può davvero volere? Magari le linee rette della prospettiv­a ordo-liberale contemplan­o l’ordinata ristruttur­azione dell’eurozona, con l’uscita degli ignavi terroni e la costituzio­ne di un nucleo duro e puro di Paesi allineati; certo, ci sarà qualche problemino a esportare con una moneta fortissima, ma ce la faremo, wir schaffen das! Se poi gli ignavi volessero proprio restare nell’euro, dovranno aprire i loro ricchi portafogli per ricondurre il debito pubblico verso il 60% prescritto dalle tavole di Maastricht. Se fossero davvero questi i piani Be C di Berlino, ne vedremmo delle belle.

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