Corriere della Sera

Lo stadio come la Basilica di S. Pietro Il cantiere non interrompe il rito

La trasformaz­ione del Friuli e gli argani che fanno spettacolo alla Torre Eiffel

- Luca Molinari

necessità di rinnovare con il bisogno di non sospendere tutte quelle esperienze quotidiane che danno identità forte all’istituzion­e che li accoglie oltre che alla sua comunità.

La scelta di tenere in vita frammenti utili della vecchia struttura rappresent­a anche la volontà di non perdere memoria e la naturale resistenza al cambiament­o che è propria di molte società. Allora il processo di violenta trasformaz­ione si accompagna a forme d’inconscio esorcismo in cui la materia antica viene lentamente mescolata a quella nuova, mentre i modi di abitare gli spazi moderni si definiscon­o lentamente in parziale continuità con le tradizioni passate.

In questi ultimi due secoli costruiti su di un tempo compresso, dinamico e profondame­nte segnato dall’etica della produzione, la necessità di non fermare mai le nuove cattedrali della modernità come Il «diamante» Una fase dei lavori del nuovo stadio Friuli e in alto la facciata «diamantata». Sotto, lo stabilimen­to Ferrari, anch’esso trasformat­o

le fabbriche, le stazioni e i suoi luoghi pubblici è diventata ancora più pressante. E a questa si associa oggi la necessità di non continuare a consumare nuovi territori e materie, quanto piuttosto di ripensare e riutilizza­re il patrimonio esistente sfruttando al massimo le sue potenziali­tà. Ogni edificio diventa occasione per essere radicalmen­te ripensato senza che venga cancellato dalla vita di tutti i giorni.

Questo vale per il nuovo Stadio Friuli di Udine, inaugurato senza che si perdesse un solo incontro di calcio ma, soprattutt­o, senza che i suoi spettatori vivessero la pena dello stacco tra nuova e vecchia struttura. Anzi, il pubblico del Friuli ha potuto seguire in diretta la lenta metamorfos­i, il cambio di pelle di una struttura amata che è diventata uno spazio nuovo, più confortevo­le e attrezzato per le sfide future.

Queste possibilit­à sono dettate da competenze tecniche e progettual­i che consentono di ridurre al minimo il disagio e, insieme, permettono di lavorare sul corpo esistente nella massima sostenibil­ità esecutiva ed economica. È avvenuto lo stesso per la recente ricostruzi­one del primo livello della Tour Eiffel dove sono stati integrati un nuovo pavimento

trasparent­e e strutture ricettive senza che fosse cancellato un solo giorno di visite. Un monumental­e argano montato alla base della torre aveva consentito il sollevamen­to dei nuovi corpi di fabbrica, offrendo ai turisti la vista inattesa di un cantiere in azione nel cuore di questo capolavoro dell’ingegneria moderna.

Lo stesso si potrebbe dire dello stabilimen­to Ferrari a Maranello, che in questi ultimi due decenni è cresciuto grazie a nuovi edifici d’autore senza che venisse mai fermata la produzione. L’impression­e crescente è che le nostre città saranno sempre più luoghi di trasformaz­ione fluida e organica in cui la simbiosi tra antico e moderno genererà luoghi di continuità delle nostre abitudini, che raramente si vedranno fermate dal cartello «lavori in corso».

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