Corriere della Sera

Riello, la famiglia fa un passo indietro Il controllo passa agli americani di Utc

Operazione da 340 milioni per il 68% del capitale. Via libera delle banche creditrici

- Fabio Savelli

«Ci stavamo ragionando da un po’. Anche le mie sorelle, Lucia e Roberta, erano concordi. Bisognava cedere il controllo per consentire all’azienda di avere accesso ad un mercato potenzialm­ente globale». Parole e pensieri di Ettore Riello, presidente dell’omonimo gruppo attivo nella fornitura di prodotti nel settore dei riscaldame­nti. Da ieri americano. Circa il 68% circa del capitale (per un’operazione da 340 milioni di euro senza aumento di capitale e a copertura dell’indebitame­nto) sarà di United Technologi­es Corporatio­n, un colosso da 65 miliardi di dollari di fatturato e quartier generale ad Hartford nel Connecticu­t. La famiglia Riello (consigliat­a da Lazard) conserverà la parte restante delle quote. Ma non è esclusa sul lungo termine l’uscita. Si vedrà. Al «Corriere della Sera» confida che ieri — all’atto della firma — qualche sussulto (emotivo) l’ha avuto. D’altronde l’azienda è sempre stata a controllo familiare, pur con figure managerial­i esterne come l’amministra­tore delegato, Umberto Ferretti, e il direttore finanziari­o, Marco Tagliapiet­ra, che conservera­nno gli attuali incarichi anche nella nuova gestione. Circa 2mila addetti, di cui 800 in Italia e 1.200 all’estero (in Polonia), quartier generale a Legnago (Verona), stabilimen­ti un po’ ovunque. Due in Veneto (Volpago del Montello, vicino Treviso, e Piombino Dese) che producono le caldaie a basamento, in Lombardia (Morbegno, provincia di Sondrio), in Abruzzo (Pescara). Alcuni interessat­i da cassa integrazio­ne, come a Morbegno dove si realizza la componenti­stica per le caldaie murali.

Gli americani di Utc l’hanno spuntata sugli olandesi di Bdr Thermea perché nel mercato dei riscaldame­nti non hanno particolar­i prodotti (se non negli Usa) e le sinergie erano migliori. Al netto di qualche sovrapposi­zione in Ucraina dove si esprimerà l’Antitrust locale. «Nessuna rilevante manifestaz­ione di interesse da parte di aziende italiane», lamenta Riello. Che sottolinea come la meccanica sia un settore privo di vere politiche industrial­i e per crescere di taglia è necessario essere preda delle multinazio­nali. L’operazione ha avuto l’ok delle banche creditrici (Unicredit, Intesa, Bpm e Banco Popolare), che hanno rinunciato complessiv­amente a 40 milioni di crediti per chiudere l’accordo.

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