Violenza gratuita nel «Siegfried » pensato da Vick
Brünnhilde ha dormito due anni sul colle circondato dalle fiamme, tanti ne sono occorsi perché la Tetralogia dell’Anello del Nibelungo nella messinscena di Graham Vick, varata a Palermo nel 2013 e interrottasi dopo La Walkiria, riprendesse il suo corso. Bene che sia accaduto. Bene due volte, anzi, vista la colpevole latitanza di opere wagneriane nella corrente stagione italiana.
Si ricomincia con Siegfried, dunque, e con un nuovo direttore: non più Pietari Inkinen ma Stefan Anton Reck. Nel cambio si guadagna in spessore sonoro quanto si perde in chiarezza d’eloquio. Non mancano cioè pasticci, però c’è un suono vero, non liofilizzato. E la recita sarebbe in ogni caso godibile se il protagonista Christian Voigt non fosse così inadeguato ad affrontare la parte eponima. All’inizio sembra che si risparmi come usano fare gli «heldentenor» wagneriani. Invece, atto dopo atto, è anche peggio. Non ce la fa proprio. La scena finale con Brünnhilde è ai limiti del paradossale. Lei, Meagan Miller, non è una Birgit Nilsson, ma lo sovrasta. Bene invece gli altri, e benissimo il Mime di Peter Bronder, eccezionale.
Ed eccezionale è anche la regia di Vick, che prosegue su una linea che privilegia il racconto a ogni forma di simbolismo e astrazione. Un racconto graffiante. E teatralissimo, perché ogni concetto diventa gesto e immagine con estrema naturalezza. Ora che il processo di dissoluzione è in stato avanzato, la feroce lotta per il potere e il denaro lascia il posto alla violenza nuda e cruda. O peggio, gratuita. Persino l’uccellino (la natura) è stuprato e ucciso.