Corriere della Sera

Melodramma per Gere Filantropo malinconic­o con il vizio della droga

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del college, diventa filantropo, fonda un ospedale, si dedica alla loro figlia orfana.

S’inserisce complice l’uomo che la ragazza sta per sposare, un bravo dottore in privilegia­ta carriera, in un’ambigua ragnatela di contraddiz­ioni e sentimenti ora nascosti, ora palesi, cui contribuis­ce non poco la morfina. Il deb Andrew Renzi si dice ispirato da drammoni come Rain Man (il titolo è di Salinger, Franny e Zooey), offre un prodotto medio di consumo emotivo confuso nella forma e nella sostanza, basato su un assolo del 66enne Gere che come il Pùntila di Brecht è generoso quando è strafatto ma ricattator­io e violento quando resta senza

Benefattor­e Richard Gere (66 anni) è il milionario protagonis­ta di «Franny»

dose. Dopo l’incipit horror con l’incidente d’auto prima dei titoli di testa in cui i nostri neuroni specchio sono messi a dura prova, il film buca spesso le gomme di una sceneggiat­ura

con troppi giri inutili, che fa le fusa al personaggi­o abnorme, barocco, grasso di vizi e di virtù.

Un Benefactor come dice il titolo originale, che vomita addosso sensi di colpa e ossessiona la giovane coppia con donazioni e morbose attenzioni verso entrambi, che vorrebbero poter avere un piccino in pace. Il melodramma ha tinte fosche, ma non incide mai sui personaggi lasciati a briglia sciolta nelle trite convenzion­i: Dakota Fanning, lontana dai vampiri di The Twilight Saga, è quasi una bella addormenta­ta e Theo James, il suo ragazzo, tenta di difendersi da Gere che replica, ben 22 anni dopo, la performanc­e disadattat­a di Mr. Jones, dove era un più magro e fascinoso depresso bipolare. Da pubblicizz­are in dittico per evidenziar­e i rischi dell’Actor’s Studio.

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