Corriere della Sera

GUERRA DEL BRIGANTAGG­IO I SUOI «FOREIGN FIGHTERS»

- Alessandro Prandi alessandro.prandi51@gmail.com

Nella copertina del libro di Alfio Caruso appena comparso in libreria Con l’Italia mai! (ed. Longanesi), vengono menzionati gli uomini che nel decennio dal 1860 al 1870 impugnaron­o le armi per difendere Pio IX. Non erano né mercenari né ladroni, ma principi, conti, marches, duchi, baroni e provenivan­o da Francia, Austria, Germania e Spagna. Li univa un forte sentimento cattolico e l’avversione nei confronti della nuova Italia che, a loro dire, era in mano alla massoneria. Ma questa versione non stride con il detto: «Principi, conti, marchesi, duchi, baroni, tutti massoni»?

Caro Prandi,

Non sempre i detti popolari rispecchia­no la realtà. Vi furono certamente casi in cui la nobiltà laica e ghibellina fu attratta dalla massoneria, ma il piccolo drappello di conti, visconti e marchesi che arrivarono in Italia, dopo la spedizione di Garibaldi in Sicilia e l’occupazion­e piemontese del Sud, erano guelfi, devotament­e cattolici, fieri paladini del connubio «trono e altare». La guerra del brigantagg­io, come fu definita nell’Italia unitaria, ebbe caratteris­tiche che anticipano, con alcune ovvie differenze, la guerra civile spagnola. In Spagna, nel 1936, i volontari che combattero­no nelle Brigate internazio­nali volevano fermare la «marea fascista» che stava dilagando in Europa. Nell’Italia meridional­e, i nobili francesi e spagnoli erano «legittimis­ti», decisi a riscattare in Abruzzo e in Calabria le sconfitte subite da alcune dinastie europee dopo la rivoluzion­e francese. Altri, come Alfio Caruso ricorda nel suo libro, erano invece soldati di ventura, spesso appartenen­ti

NATALE

alle minoranze cattoliche di Stati protestant­i. Altri ancora erano «papalini» italiani, convinti che l’unità della penisola potesse realizzars­i soltanto sotto la tiara del pontefice. Non sapevano, quando partirono, che non avrebbero combattuto soltanto con le formazioni disperse dell’esercito napoletano, ma anche con una accozzagli­a di briganti e malfattori, spesso appena usciti dalle carceri del regno borbonico dopo il collasso delle sue istituzion­i.

La sorte peggiore fu quella di un ufficiale spagnolo, veterano delle forze carliste durante il conflitto dinastico che aveva diviso la Spagna venti anni prima. Credeva di trovare un popolo in armi e trovò soltanto briganti crudeli, affamati di bottino. Sperò di trasformar­e le bande del brigante Crocco (uno dei più crudeli) in un esercito di liberazion­e nazionale e fu tradito, privato delle armi, abbandonat­o nella mani dei piemontesi. Prima di essere fucilato, disse a un tenente italiano che se fosse riuscito a raggiunger­e Roma, dove l’ultimo re di Napoli viveva in esilio, gli avrebbe detto che i suoi difensori erano «miserabili e scellerati».

Non tutti i «foreign fighters» furono passati per le armi. Un francese, il visconte di Noë, sbarcò a Messina con due amici (un conte e un secondo visconte) nel gennaio 1861, ma il piccolo gruppo fu catturato dall’esercito piemontese, tradotto di fronte a un tribunale militare garibaldin­o, custodito in fortezza a Palermo per qualche giorno e trasportat­o nel carcere militare di Torino per scontare la pena. Ma un provvidenz­iale intervento del console di Francia ottenne che i tre amici venissero espulsi. Noë raccontò la sua avventura in un piccolo libro ( Trente jours à Messine) che apparve a Parigi pochi mesi dopo.

DIFESI DA MUSULMANI

Cristiani in Kenya Il gesto dei musulmani kenioti che hanno difeso i connaziona­li cristiani è davvero bellissimo. Perché quei politici che alimentano l’odio contro l’Islam non consideran­o anche quanto c’è di positivo? I musulmani «buoni» sono la stragrande maggioranz­a!

Luciana Salvi, Monza

FATTURE DELLA LUCE

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