Corriere della Sera

Brescia, il delitto nella fonderia «pianificat­o da tempo» La pista degli inquirenti. Agli atti dell’inchiesta la frase del nipote: «Prima o poi ammazzo lo zio»

- SEGUE DALLA PRIMA Pietro Gorlani

Dal progetto dell’architetto Guglielmo Calderini era scaturita una costruzion­e tanto gigantesca e pesante che sessant’anni dopo essere stata inaugurata avrebbe rischiato di sprofondar­e se non si fosse fatto ricorso a imponenti opere di consolidam­ento. In grado oggi di reggere, ne siamo sicuri, anche qualche decina di quintali in più.

Tanti, in questi giorni di festa, se ne stanno ammassando sulla parte più bella del palazzo, quella da cui si gode la vista più spettacola­re: Castel Sant’Angelo pare di toccarlo e il Cupolone è sullo sfondo.

In quel punto, su una spaziosa piattaform­a sopraeleva­ta, sta sorgendo la grande struttura metallica che si vede nella foto pubblicata in questa pagina. Della quale, per la verità, non è ancora possibile apprezzare la forma compiuta. Anche se le sembianze non sono di sicuro quelle di un ambiente lavorativo. Accanto alla struttura principale è stato collocato pure un locale chiarament­e

Dall’8 ottobre ad oggi non hanno mai fatto una telefonata alla zia e ai due cugini. Non hanno provato a condivider­e il loro dolore per la scomparsa di Mario Bozzoli, che secondo la procura di Brescia è stato ucciso e gettato nel forno della sua fonderia.

Una mancata telefonata non può essere certo una prova di colpevolez­za. Ma per gli inquirenti è un indizio non da poco. Che li porta a ribadire come Alex e Giacomo Bozzoli sappiano eccome che fine abbia fatto lo zio. E il cerchio delle indagini si sta stringendo intorno a loro e ai due operai presenti la sera del delitto (Oscar Maggi ed il senegalese Akwasi Aboagye, detto Abu), che da nove giorni sono indagati per omicidio volontario e distruzion­e di cadavere. Gli inquirenti parlano di «un quadro indiziario molto pesante, anche se non ci sono ancora prove. Chi ha ucciso Bozzoli ha pianificat­o tutto, forse da molto tempo». E confermano la La fabbrica è sotto sequestro da ottobre, operai senza stipendio, ora si rischia il default frase «prima o poi ammazzo lo zio» che — stando agli atti dell’inchiesta — avrebbe pronunciat­o più volte il nipote più giovane, Giacomo. I rapporti tra le due famiglie sarebbero stati davvero molto tesi da almeno tre anni. Uno scenario che conferma la denuncia presentata ai carabinier­i da Irene Zubani, la moglie di Mario Bozzoli, all’indomani della sua scomparsa. Parlava dei timori del marito, dei suoi sospetti nei confronti dei nipoti. Ora si attendono i risultati delle analisi sulla grande mole di scorie di fonderia isolate dall’anatomopat­ologa Cristina Cattaneo. I Ris di Parma e gli esperti di è fatto ricorso a quelle normative speciali che consentono di realizzare opere in deroga a qualunque legge, anche quelle che tutelano i centri storici e i beni vincolati, per ragioni di sicurezza? Ragioni di sicurezza per la buvette dei magistrati di Cassazione?

Domande che esigono risposte. Sarà lo stesso ritornello un laboratori­o chimico di Milano cercano frammenti di ossa o protesi dentarie, che confermino la drammatica morte di Bozzoli.

Ora per la fonderia del mistero, che fatturava 40 milioni l’anno e che è sotto sequestro dal 13 ottobre, si apre anche un problema occupazion­ale. Per i sindacati i 14 dipendenti rischiano di perdere per sempre il posto di lavoro. «Qualsiasi azienda chiusa per più di due mesi rischia di non riaprire più — commenta Stefano Olivari, portavoce della Fim Cisl territoria­le —. I lavoratori hanno ricevuto la tredicesim­a ma non ancora lo stipendio di novembre

oggi, e non soltanto per la collocazio­ne della presunta buvette. Perché come i senatori fanno le leggi, i magistrati hanno il compito di farle osservare. E davanti alla legge, dice l’articolo 3 della costituzio­ne, tutti i cittadini «sono eguali». Senatori e magistrati compresi. e dicembre. Dovrebbero essere in cassa integrazio­ne ordinaria ma l’Inps, per erogarla, vuole una data di ripresa dell’attività». I sindacati hanno quindi chiesto un incontro con il procurator­e capo Tommaso Buonanno: «Chiediamo che almeno possa essere ripristina­ta la parte amministra­tiva — prosegue Olivari — per mantenere i rapporti con i clienti in attesa». Ma lo stesso procurator­e aveva già fatto sapere ai sindacati che i sigilli non saranno tolti «finché non si è certi di non trovare qualcosa».

La beffa

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