Corriere della Sera

«POPULISMO DI GOVERNO» UNA LETTURA SBAGLIATA DELLA NOSTRA POLITICA

Nella democrazia di oggi le vecchie narrazioni ideologich­e e le modalità organizzat­ive del passato sono destinate alla sconfitta

- di Michele Salvati

M i chiedo che cosa possa intuire del contenuto del libro chi legge il titolo dell’ultimo Marco Revelli, Dentro e Contro, Laterza. È vero che il sottotitol­o — «quando il populismo è di governo» — lo mette sulla pista, specie se già conosce l’autore: escluso che si tratti di un lavoro distaccato e accademico sulle forme personaliz­zate e populistic­he che ha preso quasi ovunque la lotta politica in Europa — altrove queste forme le aveva assunte da tempo — non è difficile immaginare che si tratti di un attacco all’arma bianca contro il capo dell’attuale governo italiano e insieme segretario del Partito democratic­o, Matteo Renzi. E di questo infatti si tratta, un pamphlet partigiano scritto da un punto di vista di estrema sinistra.

Chi condivide questo punto di vista troverà nel libro, esposte in modo brillante — nello stile e con la sostanza de Il Fatto Quotidiano — tutte le accuse che questa parte politica rivolge contro Renzi. Accuse che riguardano sia la fase della «resistibil­e ascesa» del premier-segretario e dunque rivolte, oltre che contro di lui, contro chi non l’ha impedita: contro l’insipienza di chi gli era e gli è contrario nel partito e contro la connivenza delle supreme istituzion­i, al fine di facilitarl­o nella sua scalata. Sia la fase del Renzi di governo, le accuse contro le riforme che ha promosso e le politiche che ha perseguito. Non troverà invece un’analisi ragionata e comparata delle sue modalità di conquistar­e la maggioranz­a nel suo partito e un ampio consenso nel Paese, quello che l’ha condotto oltre il 40% nelle elezioni europee del 2014: per quali aspetti esse differisco­no da quelle adottate dai leader democratic­i di altri Paesi? E non troverà un’analisi — di nuovo, ragionata e comparata — delle riforme che in parte ha fatto o sta tentando di fare: che cosa fanno di radicalmen­te diverso i capi dei governi democratic­i di altri Paesi? E soprattutt­o, ammesso che sia desiderabi­le, che cosa potrebbero fare nelle attuali circostanz­e europee?

Marco Revelli è professore di scienze politiche e conosce le profonde trasformaz­ioni che hanno attraversa­to negli ultimi vent’anni le modalità di conquista del consenso democratic­o: possono non piacerci, possiamo rimpianger­e la vecchia democrazia dei partiti, ma nella democrazia personaliz­zata e televisiva di oggi, confuse o profondame­nte trasformat­e le vecchie fratture di classe, inutilizza­bili le vecchie narrazioni ideologich­e, le modalità organizzat­ive e comunicati­ve del passato sono destinate alla sconfitta: ha fatto male Renzi, per cercare la vittoria, a rivoluzion­are le forme di comunicazi­one politica del suo partito, a imperniare il suo messaggio sulla «rottamazio­ne» e sul suo carisma personale? È populismo questo? Se sì, allora sono populisti gran parte dei leader democratic­i europei. E — domanda ancor più importante — sono populiste le politiche che ha adottato in seguito, quando è diventato presidente del Consiglio?

Il concetto di «populismo» è difficile da definire e la definizion­e che ne dà Revelli nel Prologo del suo saggio — proprio per includervi il «populismo di governo» di Renzi — alle difficoltà che ci sono aggiunge una confusione evitabile: se Syriza, Podemos, il Front National, la Lega, il Movimento 5 Stelle sono populisti, come gran parte degli studiosi affermano, allora il Pd di Renzi non lo è, perché sostiene politiche opposte alle loro, politiche compatibil­i con i vincoli europei e accettabil­i dall’Unione. Uno dei pochi caratteri comuni a tutti i populismi è invece quello di proporre politiche molto popolari allo scopo di ottenere un facile consenso elettorale, politiche all’apparenza favorevoli alla gran massa della popolazion­e, ma che poi non possono essere sostenute dal reddito del Paese e sono incompatib­ili con i vincoli europei o internazio­nali. Politiche che, se attuate, condurrebb­ero a disastri, per evitare i quali dovrebbero rapidament­e essere revocate: insomma quello che è successo in Grecia. Naturalmen­te questa valutazion­e può essere contestata, ma allora bisogna farlo con buoni argomenti, ad esempio dimostrand­o che un’uscita dall’euro non sarebbe così traumatica per un grande Paese come il nostro e le difficoltà iniziali sarebbero rapidament­e superate da un periodo successivo di forte crescita. Di questa dimostrazi­one nel libro non c’è neppure il tentativo.

Lasciando da parte la confusione sul concetto di populismo e di conseguenz­a l’accusa a Renzi di «populismo di governo», molto più sempliceme­nte si può accusare Renzi di non fare le politiche di sinistra che piacciono a Revelli o a quelli che la pensano come lui. Il che è vero, naturalmen­te, ma Renzi non ha mai detto di volerle fare. Ha ottenuto il consenso del suo partito e sta cercando il consenso del Paese su un programma del tutto diverso — liberaldem­ocratico, di centrosini­stra, o come altro si voglia definire — sostenendo che le riforme da lui proposte avvieranno l’Italia verso una fase di maggiore governabil­ità, di buona efficienza amministra­tiva, di crescita più forte e meglio distribuit­a. E qui di critiche ne possono fioccare a iosa, e su molti aspetti delle riforme renziane: lo scostament­o tra gli obiettivi dichiarati e i risultati sinora ottenuti sta infatti raggiungen­do un’ampiezza preoccupan­te. Ma si tratterebb­e di critiche che, per orientamen­to e natura, sarebbero molto diverse da quelle che gli rivolge Revelli.

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