I villaggi della sharia alle porte dell’Italia
Reclutava jihadisti anche in Italia. E nei villaggi integralisti sventolano i vessilli dell’Isis
La strada si fa stretta, sterrata, le case diradano. Velika Kladusa è alle spalle e non rimane che salire affidandosi al vecchio Murat che conosce bene questa triste montagna di confine: «La terra di Bilal è lassù, bisogna tenere gli occhi aperti».
Altri cinque chilometri di sassi e buche ed ecco spuntare su un prato scoperto lo scheletro di un edificio in costruzione. È il centro di preghiera salafita voluto dall’imam Husein Bosnic che tutti chiamano Bilal, il più grande reclutatore europeo di jihadisti. Così, almeno, lo considerano varie procure che hanno trovato tracce tangibili del suo passaggio in Svezia, Austria, Slovenia, oltre che a Roma, Cremona, Bergamo e Pordenone. Indagato anche in Italia dall’antiterrorismo di Venezia per aver promosso la Guerra santa e radicalizzato musulmani prima moderati come i «bellunesi» Ismar Mesinovic (poi morto in Siria) e Munifer Kalamaleski, Bosnic è stato arrestato e condannato il mese scorso a 7 anni dal tribunale di Sarajevo. Per «reclutamento di persone della comunità salafita, diventate parte dell’Isis allo scopo di compiere attentati terroristici», scrive nell’atto d’accusa il procuratore Dubravko Campara che gli ha dato la caccia per lungo tempo e che lo scorso 22 dicembre ha ottenuto l’arresto di 11 estremisti «che puntavano a uccidere oltre 100 persone a Sarajevo».
A Bosanska Bojna, in questa landa isolata di Nord Ovest, il predicatore ha comprato otto ettari di terra «usando denaro arrivato dal Qatar che gli ha versato 200 mila dollari», aggiunge sospettoso Campara. La scelta del luogo non è casuale. Si tratta infatti di un’area di confine molto particolare: di qua c’è la Bosnia, Stato extracomunitario e cuore musulmano d’Europa, di là la cattolica Croazia e l’Unione europea. Dal gennaio 2016 la repubblica croata sarà anche area Schengen e quindi le persone potranno circolare più liberamente verso gli altri Stati membri. L’Italia poi è a portata di orizzonte: 210 chilometri, Trieste.
Il confine di Bosanska
Proseguiamo sullo sterrato, oltre il «regno» di Bosnic. Fatte quattro curve ecco l’importante frontiera europea: una sbarra arrugginita con appeso un cartello di stop a interrompere la stradina e, dieci metri più in là, un gabbiotto bianco abbandonato dove un tempo forse c’era qualche poliziotto. Fine. Chi volesse evitare divise e dogane qui, fra i boschi di Bosanska Bojna, può farlo. Cittadini, predicatori, ma anche combattenti, terroristi e soprattutto trafficanti d’armi, visto che la Bosnia è un po’ la santabardranno d’Europa per via della guerra degli anni Novanta che ha riempito i Balcani di mitra e munizioni. «I proiettili di Charlie Hebdo sono stati fabbricati a Mostar, alcuni kalashnikov delle ultime stragi arrivano dalla ex Jugoslavia. Parigi ci sta chiedendo verifiche e noi collabodal riamo», ricorda Igor Golijanin, giovane capo di gabinetto del ministero della Sicurezza che ha alzato il livello di allarme.
Dalla prospettiva di Bosanska le parole di Bosnic suonano ancor più sinistre: «Si comincia dai boschi, raduniamo i migliori eserciti e cabara i migliori martiri»; «ciò che più rallegra Allah sono i suoi schiavi quando vanno fra gli infedeli e combattono finché non vengono uccisi»; «un giorno il Vaticano sarà musulmano». Vertigini.
Intorno al confine solo sterpaglia, faggi ingrigiti dall’inverno e un paio di casette in legno con i camini che fumano. Da una finestra si affaccia un signore alto e magro che sembra Clint Eastwood. È Zlatko Popovic, funzionario di polizia in pensione: «Non c’entro con la frontiera... Bilal? Eh, è chiaro che lui e i suoi seguaci non sono venuti qui casualmente. In questa terra non ti vede nessuno, non ci sono controlli e sei molto vicino agli Stati del Nord». Bosnic lo sa bene e lo sanno anche i suoi sponsor arabi che gli hanno messo in mano i dollari del deserto per realizzare un masjid (un centro di preghiera) fra le montagne europee più ruvide e nascoste.
I dollari del deserto
«Ci risulta che siano diversi i Paesi di quell’area che stanno investendo: Qatar, Emirati, sauditi... Qui abbiamo circa duemila fondamentalisti che, attenzione, non sono terroristi. Sono salafiti o wahhabiti», mostra Golijanin sulla cartina geografica del suo ufficio di Sarajevo, indicando le valli nordiche. Salafiti e wahhabiti significa islam sunnita, radicale, ultraconservatore, dove si osserva la sharia più rigida che talvolta non disdegna il jihad. Anche questa è un’eredità della guerra dei Balcani, quando in Bosnia arrivarono oltre duemila mujaheddin