Corriere della Sera

I villaggi della sharia alle porte dell’Italia

Reclutava jihadisti anche in Italia. E nei villaggi integralis­ti sventolano i vessilli dell’Isis

- Di Andrea Pasqualett­o

La strada si fa stretta, sterrata, le case diradano. Velika Kladusa è alle spalle e non rimane che salire affidandos­i al vecchio Murat che conosce bene questa triste montagna di confine: «La terra di Bilal è lassù, bisogna tenere gli occhi aperti».

Altri cinque chilometri di sassi e buche ed ecco spuntare su un prato scoperto lo scheletro di un edificio in costruzion­e. È il centro di preghiera salafita voluto dall’imam Husein Bosnic che tutti chiamano Bilal, il più grande reclutator­e europeo di jihadisti. Così, almeno, lo consideran­o varie procure che hanno trovato tracce tangibili del suo passaggio in Svezia, Austria, Slovenia, oltre che a Roma, Cremona, Bergamo e Pordenone. Indagato anche in Italia dall’antiterror­ismo di Venezia per aver promosso la Guerra santa e radicalizz­ato musulmani prima moderati come i «bellunesi» Ismar Mesinovic (poi morto in Siria) e Munifer Kalamalesk­i, Bosnic è stato arrestato e condannato il mese scorso a 7 anni dal tribunale di Sarajevo. Per «reclutamen­to di persone della comunità salafita, diventate parte dell’Isis allo scopo di compiere attentati terroristi­ci», scrive nell’atto d’accusa il procurator­e Dubravko Campara che gli ha dato la caccia per lungo tempo e che lo scorso 22 dicembre ha ottenuto l’arresto di 11 estremisti «che puntavano a uccidere oltre 100 persone a Sarajevo».

A Bosanska Bojna, in questa landa isolata di Nord Ovest, il predicator­e ha comprato otto ettari di terra «usando denaro arrivato dal Qatar che gli ha versato 200 mila dollari», aggiunge sospettoso Campara. La scelta del luogo non è casuale. Si tratta infatti di un’area di confine molto particolar­e: di qua c’è la Bosnia, Stato extracomun­itario e cuore musulmano d’Europa, di là la cattolica Croazia e l’Unione europea. Dal gennaio 2016 la repubblica croata sarà anche area Schengen e quindi le persone potranno circolare più liberament­e verso gli altri Stati membri. L’Italia poi è a portata di orizzonte: 210 chilometri, Trieste.

Il confine di Bosanska

Proseguiam­o sullo sterrato, oltre il «regno» di Bosnic. Fatte quattro curve ecco l’importante frontiera europea: una sbarra arrugginit­a con appeso un cartello di stop a interrompe­re la stradina e, dieci metri più in là, un gabbiotto bianco abbandonat­o dove un tempo forse c’era qualche poliziotto. Fine. Chi volesse evitare divise e dogane qui, fra i boschi di Bosanska Bojna, può farlo. Cittadini, predicator­i, ma anche combattent­i, terroristi e soprattutt­o trafficant­i d’armi, visto che la Bosnia è un po’ la santabardr­anno d’Europa per via della guerra degli anni Novanta che ha riempito i Balcani di mitra e munizioni. «I proiettili di Charlie Hebdo sono stati fabbricati a Mostar, alcuni kalashniko­v delle ultime stragi arrivano dalla ex Jugoslavia. Parigi ci sta chiedendo verifiche e noi collabodal riamo», ricorda Igor Golijanin, giovane capo di gabinetto del ministero della Sicurezza che ha alzato il livello di allarme.

Dalla prospettiv­a di Bosanska le parole di Bosnic suonano ancor più sinistre: «Si comincia dai boschi, raduniamo i migliori eserciti e cabara i migliori martiri»; «ciò che più rallegra Allah sono i suoi schiavi quando vanno fra gli infedeli e combattono finché non vengono uccisi»; «un giorno il Vaticano sarà musulmano». Vertigini.

Intorno al confine solo sterpaglia, faggi ingrigiti dall’inverno e un paio di casette in legno con i camini che fumano. Da una finestra si affaccia un signore alto e magro che sembra Clint Eastwood. È Zlatko Popovic, funzionari­o di polizia in pensione: «Non c’entro con la frontiera... Bilal? Eh, è chiaro che lui e i suoi seguaci non sono venuti qui casualment­e. In questa terra non ti vede nessuno, non ci sono controlli e sei molto vicino agli Stati del Nord». Bosnic lo sa bene e lo sanno anche i suoi sponsor arabi che gli hanno messo in mano i dollari del deserto per realizzare un masjid (un centro di preghiera) fra le montagne europee più ruvide e nascoste.

I dollari del deserto

«Ci risulta che siano diversi i Paesi di quell’area che stanno investendo: Qatar, Emirati, sauditi... Qui abbiamo circa duemila fondamenta­listi che, attenzione, non sono terroristi. Sono salafiti o wahhabiti», mostra Golijanin sulla cartina geografica del suo ufficio di Sarajevo, indicando le valli nordiche. Salafiti e wahhabiti significa islam sunnita, radicale, ultraconse­rvatore, dove si osserva la sharia più rigida che talvolta non disdegna il jihad. Anche questa è un’eredità della guerra dei Balcani, quando in Bosnia arrivarono oltre duemila mujaheddin

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