Corriere della Sera

Armi e trucchi dei jihadisti: bambole-bomba nelle case

Così i miliziani hanno resistito per mesi all’assedio

- di Guido Olimpio

Strappare le città in mano all’Isis è un’operazione costosa in termine di vite umane e danni. Alle spalle restano caduti, macerie, difficile per i civili poter tornare in tempi rapidi. Conseguenz­e inevitabil­i di tattiche ben studiate dallo Stato Islamico per proteggere con reparti non troppo numerosi posizioni trasformat­e in fortini. È stato così per Ramadi, potrebbe andare ancora peggio per Mosul e Raqqa.

All’inizio della battaglia di Ramadi, lo Stato Islamico avrebbe schierato circa un migliaio di militanti che, secondo metodi rodati, hanno provveduto a minare accessi alla città e alle vie di comunicazi­one. Gli artificier­i jihadisti hanno una grande esperienza nell’utilizzare ordigni convenzion­ali, catturati al nemico, e altri costruiti nelle officine del movimento. Pezzi d’ogni forma e tipo: contenitor­i metallici riempiti di fertilizza­nte, bidoni in plastica tramutati in bombe, cilindri in ferro, bambole giocattolo che nascondeva­no sorprese. Alcuni fatti detonare da lontano con un radiocoman­do, altri dal passaggio di un fuoristrad­a o di una pattuglia.

Gli estremisti hanno creato L’attacco I bombardame­nti dei B1 in coordiname­nto con le forze a terra (e i consiglier­i americani) zone minate per rallentare la progressio­ne degli iracheni e hanno piazzato trappole nelle strade. In certi punti hanno scavato trincee o creato barriere, anche queste rese più insidiose da dispositiv­i «artigianal­i» ma non per questo meno letali. Per ripulire un isolato ci sono voluti giorni interi visto il gran numero di insidie.

I governativ­i hanno risposto usando apparati per bonificare forniti in gran fretta dagli Stati Uniti. Bulldozer corazzati, blindati, sistemi portatili composti da cavi deflagrant­i lanciabili sul terreno dove si temeva fossero presenti gli ordigni. L’Isis era però pronto a contrastar­li.

Tiratori scelti, razzi e colpi di mortaio hanno lasciato il segno sulle squadre di genieri. Un solo reparto specializz­ato ha avuto oltre 60 tra morti e feriti.

Molti mujaheddin si sono rintanati negli edifici, alcuni di questi trasformat­i — secondo una vecchia tattica — in case della morte: gli estremisti le hanno riempite di esplosivi attivabili da un filo invisibile teso all’interno di una stanza oppure da una piastra a pressione. Un passo falso e tutto saltava per aria. Snidarli ha richiesto sacrificio, pazienza e un alto volume di fuoco garantito dall’artiglieri­a unita ai raid dell’aviazione della coalizione. Il Pentagono ha usato spesso il bombardier­e B1, in grado di eseguire lunghe missioni e dotato di un carico bellico robusto. Indispensa­bile quanto efficace il coordiname­nto con le colonne a terra, probabilme­nte assistite da nuclei di forze speciali statuniten­si.

Quando poi i soldati si sono avvicinati al centro, i jihadisti hanno lanciato la loro falange, i kamikaze a bordo di camionbomb­a opportunam­ente blindati. «Bestie» pesanti diverse tonnellate capaci di spazzare vie concentram­enti di truppe. Anche in questo caso, i seguaci del Califfo hanno accompagna­to le sortite, condotte con tre-quattro mezzi alla volta, con la copertura delle mitragliat­rici pesanti.

Nell’eterna lotta tra lancia e scudo, i militari hanno contrastat­o i mezzi con razzi anti carro più potenti dei tradiziona­li RPG ormai insufficie­nti contro le protezioni dei veicoli. I risultati ci sono stati. Lo Stato Islamico ha venduto cara la pelle, lo ha fatto sacrifican­do centinaia di miliziani, alcuni dei quali sono ancora nei bunker di Ramadi in una lotta infinita. Mujaheddin felici di andare incontro al martirio in una campagna dove il Califfo, malgrado i proclami, perde terreno.

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