Corriere della Sera

Il rebus dei rimborsi agli obbligazio­nisti

La strada per ottenere l’indennizzo non è ancora chiara. Il Fondo coprirà solo una parte

- di Mario Sensini Mario Sensini

Le cessioni Difficile che si possa recuperare qualcosa dalla cessione dei crediti in sofferenza

Affidarsi al Fondo di Solidariet­à, o sperare che i liquidator­i delle quattro banche dissolte riescano a strappare qualcosa agli ex amministra­tori, sindaci e società di revisione alle quali hanno fatto causa. Gli obbligazio­nisti subordinat­i delle banche messe in risoluzion­e a fine novembre, devono solo incrociare le dita, perché non ci sono altre possibilit­à concrete di recuperare anche solo una parte del capitale investito e oggi interament­e perduto.

Preclusa la possibilit­à di rivalersi sulle nuove banche nate dopo la risoluzion­e, azionisti ed obbligazio­nisti possono solo battere cassa alla liquidazio­ne coatta dei vecchi istituti, che però non hanno attivi. Salvo quelli che riuscirann­o a recuperare dagli ex manager delle banche finite nel dissesto. Semmai ci riuscirann­o.

Altre strade rispetto alla soluzione adottata, spiega il Tesoro, sarebbero state complessiv­amente «più costose per i creditori della banca». Secondo la Banca d’Italia, la liquidazio­ne coatta amministra­tiva delle banche dissestate, unica alternativ­a possibile, avrebbe comportato anche la cancellazi­one delle obbligazio­ni «senior» ed il sacrificio dei depositi di importo superiore ai 100 mila euro.

In quel caso, spiegano sempre al Tesoro, tutte le attività liquidate non sarebbero mai bastate a coprire le passività e rimborsare tutti, compresi gli obbligazio­nisti subordinat­i. Che non avrebbero comunque ottenuto nulla, come gli azionisti, e ai quali oggi non resta che sperare nel Fondo o nelle cause milionarie contro gli ex amministra­tori, sindaci e società di revisione.

Per CariFerrar­a i commissari di Bankitalia, ed oggi la liquidazio­ne coatta, chiedono un risarcimen­to di 300 milioni. Per Banca Marche, all’ex direttore generale, ad alcuni membri del Cda e del collegio sindacale e alla Price Waterhouse che revisionav­a i bilanci, sono stati chiesti 282 milioni. La causa è partita a luglio, ma avrà tempi biblici. Solo a metà dicembre il Tribunale di Ancona ha deciso di fissare la prima udienza, mettendola in calendario per l’ottobre del 2016.

L’unica speranza concreta di recuperare almeno una parte dei denari investiti resta quella di affidarsi al Fondo di Solidariet­à, anche se non tutti potranno farlo. Nelle intenzioni del governo il Fondo dovrebbe intervenir­e solo a favore dei risparmiat­ori più deboli, quelli indotti dalle banche a fare investimen­ti troppo rischiosi o sproporzio­nati, e solo dopo il giudizio di un arbitrato. L’Economia e la Giustizia stanno già impostando il decreto per stabilire i criteri di accesso e i limiti dell’intervento del Fondo, che sarà comunque parziale. Ma è un’operazione delicata, perché il governo vuole evitare ogni contenzios­o, soprattutt­o con la Ue, e ci vorrà del tempo. Nel mentre Palazzo Chigi dovrà, con un decreto del Presidente del Consiglio, se non con un nuovo apposito decreto legge, disciplina­re il funzioname­nto dei collegi arbitrali ed affidarli formalment­e all’Autorità Anticorruz­ione.

L’altra soluzione che azionisti e obbligazio­nisti avevano intravisto e sollecitat­o per recuperare almeno parte degli investimen­ti, era legata alla possibilit­à di realizzare più soldi del previsto dalla vendita dei crediti in sofferenza delle banche dissolte, rilevati da una società speciale, una bad bank. Il governo, però, è assolutame­nte scettico. Nella bad bank sono finiti 8,5 miliardi di sofferenze, svalutate a 1,5 miliardi seguendo i criteri dettati dalla Ue. Ma il governo ha dovuto metterci anche una garanzia di 400 milioni di euro, perché per la Commission­e quei crediti valgono anche di meno. Dal loro realizzo dovrebbero già saltare fuori 3,2 miliardi per rimborsare il Fondo di risoluzion­e che ha finanziato la bad bank (1,5 miliardi) e il sistema bancario che ha ricapitali­zzato (1,7 miliardi) le quattro nuove banche. «Irrealisti­co» pensare, dice il Tesoro, che resti ancora qualcosa per azionisti e obbligazio­nisti.

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