Corriere della Sera

L’urbanistic­a di «Canale Mussolini. Parte seconda» (Mondadori) Pietre, strade, miti e storia d’Italia Così Pennacchi costruisce Littoria

- Di Marco Romano

Le vicende raccontate nei romanzi, quel nuovo genere letterario comparso nel Settecento, saranno spesso ambientate nel contesto di una città o di un villaggio immaginari­o o magari davvero esistente, per dar loro uno sfondo realistico che le renda credibili al lettore, dalla Pietroburg­o di Nikolaj Gogol’ alla piccola Yonville di Gustave Flaubert fino alla Kars messa in scena da Orhan Pamuk nel romanzo Neve (Kar nell’originale).

Solo che nel recente libro di Antonio Pennacchi ( Canale Mussolini. Parte seconda, Mondadori) è invece Littoria a essere la protagonis­ta, la città nuova che prende forma man mano che lentamente vi si trasferisc­ono nuovi abitanti da Roma o dai borghi rurali dell’Agro.

È nell’aprile del 1932 che l’architetto Frezzotti comincerà a disegnare con una vivace passione evocata dall’immaginari­o dialogo con il suo committent­e, quel presidente Cencelli che sovrintend­eva alla bonifica delle paludi pontine, la nuova città, tracciando nei campi di allora forse il più elegante piano regolatore degli ultimi ottant’anni.

Al momento, per i suoi nuovi cittadini, Littoria è soltanto un intrico di strade e di piazze sapienteme­nte tracciate sulla carta, ma la sua realizzazi­one — le case le chiese gli alberghi i ristoranti i grattaciel­i — sarà l’esito del desiderio di coloro che giorno per giorno sceglieran­no di abitarla, e le loro vicende personali, dei primi e di quanti li seguiranno, non avranno la città come un palcosceni­co

A sinistra: l’arrivo dei coloni a Littoria. A destra: Benito Mussolini inaugura la città di Littoria 18 ottobre 1932

già precostitu­ito, ma come uno scenario che andranno costruendo giorno per giorno a loro immagine e somiglianz­a. Una passione descritta da Pennacchi con minuzia e passione, quasi pietra per pietra, la stagione dei condomini delle case popolari delle villette, fino a quando, oggi, i capannoni industrial­i degli anni Sessanta cominceran­no a vuotarsi.

Mentre costruisco­no Littoria i suoi cittadini, i vecchi e i nuovi, vivranno anche la vita e i drammi della nazione intera, la storia epica della guerra, quando rimarranno al centro della tenaglia tra Cassino e Anzio, e la storia tragica dei suoi figli — soldati della Rsi o partigiani — fino alla sua lunga tormentata conclusion­e: è l’evocazione vigorosa e straortrat­tato

dinariamen­te efficace di tutta la vicenda italiana degli anni Trenta, della Resistenza, del Dopoguerra dove i dialoghi immaginari dei protagonis­ti, compresi quelli di Mussolini, di Togliatti, di De Gasperi avverranno nel natio dialetto veneto che al lettore dovrebbe risultare familiare.

Ma se le città hanno chi le ha disegnate, hanno poi anche una figura mitica che ne ha accompagna­to e alimentato la crescita. Il vero eroe della crescita di Littoria sarà uno della famiglia Peruzzi, Diomede, evocato come operaio, costruttor­e e impresario di questa crescita, che prende corpo materiale con il suo accanito lavoro imprendito­riale e che testimonie­rà negli anni Cinquanta l’ingresso di Littoria nel contesto dell’Italia intera,

quasi alla pari da Gianni Agnelli e soprattutt­o sposo nel 1957 di una ragazza milanese, conosciuta alla Fiera.

Diomede resta tuttavia un visionario, rivede nella sua ultima notte il giovane commiliton­e tedesco con il quale aveva fatto amicizia durante la guerra e che gli era morto fra le braccia e che lui stesso aveva sepolto, e incontrerà nel luogo un tempo consueto dei loro appuntamen­ti amorosi — l’incrocio della fettuccia di Terracina con la strada di Littoria — il fantasma di Claretta Petacci e il rombo lontano della motociclet­ta di Benito Mussolini.

E forse in quell’estremo sogno la sua città tornerà a chiamarsi Littoria, come prima del 1946, quando venne ribattezza­ta Latina.

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