Perché ricordarlo
Caro Romano, in occasione del centenario della Grande guerra (per curiosità) mi sto documentando leggendo alcuni libri sull’argomento, tra questi, «La Grande Guerra» di M. Isnenghi e G. Rochat. Mi ha lasciato perplesso, a tratti disgustato, il comportamento del comandante in capo Cadorna nei riguardi dei suoi soldati che li considerava inferiori. Non andava mai a visitare le truppe in trincea e quindi non aveva la reale visione di ciò che era veramente la guerra. Se i suoi soldati venivano fatti prigionieri, li accusava di non aver combattuto, di disfattismo, di diserzione e li puniva impedendo che a loro arrivassero anche oggetti, ricordi, lettere inviati dai loro familiari, senza dimenticare tutte le varie disfatte fino a Caporetto. Se nell’immediato dopoguerra si è cercato di mantenere viva la memoria ( tralascio le motivazioni politiche) di coloro che hanno combattuto, e delle loro battaglie intestando e dedicando loro vie, piazze e monumenti, mi chiedo se a distanza di un secolo non si possa fare una sincera revisione storica, non solo a livello accademico, ma togliendo anche i loro nomi da piazze e monumenti. In altre parole pare che Cadorna abbia fatto più male (ai suoi soldati) che bene. Perché ricordarlo?
Michele Lenzi, Vicenza Non tutti giudicano Cadorna nello stesso modo. Molti critici gli riconoscono il merito di avere dato prova di capacità organizzative nel momento in cui l’esercito italiano raggiungeva dimensioni mai viste prima della Grande guerra. Se decidessimo di cancellare il suo nome dalle targhe stradali cominceremmo
probabilmente a litigare subito dopo sulle nuove denominazioni. Le ricordo infine che nell’uso corrente i nomi di una via o di una piazza finiscono spesso per definire non tanto la persona quanto la funzione pubblica del luogo. A Milano Cadorna significa Ferrovie Nord.