Corriere della Sera

Dure critiche all’Italia dai tre economisti Ue

Su Vox uno studio degli economisti del team che sta vagliando la legge di Stabilità

- Di Federico Fubini

Studio anti-Italia dei funzionari europei, tre economisti che fanno parte del team che a Bruxelles sta esaminando la legge di Stabilità: «L’Italia è condannata dalla poca produttivi­tà».

Una nazione con la più bassa quota di laureati fra le trenta democrazie industrial­i, che ne spinge uno ogni dieci a emigrare (anche) perché il costo di aprire un’impresa è fra i più alti al mondo, non ha più molto tempo. Per evitare un lungo declino nel ventunesim­o secolo, le serviranno un approccio radicale e molti anni. Quest’Italia che ormai da un quindicenn­io sta perdendo contatto con i migliori standard produttivi dell’Occidente non può aspettare: il cambio di rotta è «urgente» proprio perché girare questa nave sarà un’operazione lenta.

Non è la prima volta che dall’estero arrivano analisi severe su quella che un tempo è stata la sesta economia del mondo (oggi la nona, dopo Brasile e India). In certe occasioni però non conta solo il merito dell’analisi, ma anche chi la svolge e quando. Qualche giorno fa, ne hanno proposto una sul sito www.vox.eu Dino Pinelli, István P. Székely e Janos Varga. Nessuno dei tre è noto in Italia, ma le loro idee contano perché questi analisti sono al cuore del lavoro che la Commission­e europea sta svolgendo sulla Legge di stabilità e sul programma di riforme del governo di Matteo Renzi. Soprattutt­o il primo, Dino Pinelli: è il capo del «desk Italia» della direzione generale Affari economici di Bruxelles, l’ufficio da cui parte la valutazion­e sulla manovra in deficit del governo. Anche Székely e Varga si trovano in posizioni delicate, il primo direttore di ricerca e il secondo economista alla direzione generale di Bruxelles che sta passando al vaglio la Legge di stabilità dell’Italia.

Questo gruppo il 22 dicembre ha proposto l’anticipazi­one di un lavoro che sta per pubblicare per conto della Commission­e Ue. Non è formalment­e la posizione ufficiale dell’istituzion­e, ma è difficile che se ne discosti molto e il carattere draconiano degli argomenti è senz’altro inusuale. Pinelli, Székely e Varga ricordano che è da metà degli anni ’90 che il reddito per abitante in Italia perde terreno rispetto alle altre economie europee. Un problema specifico spiega questo ritardo: in Italia la «produttivi­tà totale dei fattori» è in calo (in media dello 0,3% l’anno) dalla fine del secolo scorso. È un caso praticamen­te unico, mentre cresce quasi ovunque nel resto d’Europa e ancora di più negli Stati Uniti (vedi grafico). Questo è l’indicatore che riassume la ricchezza che si crea in un’ora di attività produttiva, una volta sommati tutti i fattori che vi contribuis­cono: l’organizzaz­ione e le regole del lavoro, le competenze, gli investimen­ti e la tecnologia, la burocrazia, l’apertura del mercato, le infrastrut­ture o le forniture energetich­e. La «produttivi­tà totale dei fattori», più del debito o della crescita, è il termometro del sistema. È in Italia, caso quasi unico, va giù da 15 anni.

Pinelli, Székely e Varga sottolinea­no alcune cause di questa anomalia: non solo la quota bassissima dei laureati e delle competenze di base, ma soprattutt­o il ritardo dei giovani nell’istruzione rispetto anche a Polonia, Corea del Sud o Spagna. Pesano inoltre le difficoltà poste dalla burocrazia o dalla giustizia, riassunte nel costo impossibil­e di lanciare un’impresa o dalla posizione dell’Italia agli ultimi posti per gli investimen­ti dei fondi esteri più dinamici.

La stessa riforma del lavoro elimina appena un quarto del ritardo dell’Italia sull’area euro per i costi di ogni contratto. Pinelli, Székely e Varga riconoscon­o le riforme di Renzi sulla scuola o con il Jobs Act. Ma aggiungono che restano «debolezze struttural­i fondamenta­li» e che «il ritorno a una crescita sana richiederà uno sforz o straordina­rio», sottolinea­ndo «l’urgenza di muoversi con decisione». Non è chiaro se sia un anticipo del giudizio sulla richiesta del governo di nuova flessibili­tà sui conti in cambio delle riforme fatte. Ma rivela qualcosa di come sembra l’Italia oggi, vista da Bruxelles.

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