Corriere della Sera

Quell’incontro a Gemonio Bossi e la storia del vicino che si ritrovò clochard

«Aveva perso tutto, dovevo intervenir­e»

- dal nostro inviato Marco Cremonesi

GEMONIO (VARESE) «Il problema, certe volte, è la dignità». Umberto Bossi è seduto di fronte al camino di casa sua, a Gemonio: «È la dignità che ti impedisce di chiedere aiuto. Ma senza aiuto, non riparti». Un giorno, il fondatore della Lega si imbatte nella povertà: un abitante della zona, quasi un vicino di casa, costretto a dormire in auto. E da lì, nasce la passione: un’associazio­ne di cui è diventato testimonia­l convinto. Nome provvisori­o, «A mani aperte». L’obiettivo, spiega, è quello «di aiutare i poveri invisibili», quelli che nessuno direbbe. Che conducono vite in apparenza normali, ma in realtà non sanno neppure se quel giorno, o quello dopo, mangeranno.

Bossi è rimasto colpito dalla storia di Ettore: «Lui è nato qui vicino, a Cadrezzate. È stato via per qualche anno, poi è ricomparso in paese. Fino a quando i contadini del lago di Varese si sono accorti di una macchina con dentro una persona a dormire». Il «Capo» si ferma un attimo: «Lei sa che cosa succede a dormire là? Il lago ghiaccia, ghiaccia tutto. Ma se ti addormenti arriva la volta che non ti svegli». Ettore ha 54 anni e a colpire Bossi è stata l’assoluta normalità della su a s to ri a : «Ha fatto l’operaio da queste parti per anni. Poi, ha trovato un socio e ha aperto un ristorante in Trentino in cui ha messo tutto. Ma la cosa non ha funzionato e lui si è trovato senza niente: niente lavoro, niente soldi, niente casa». A organizzar­e la discesa in campo di Bossi, due suoi vecchi amici, Maurilio Canton e Dania Titolo: «Mi hanno coinvolto. Prima, hanno trovato per Ettore un lavoro: ora fa il giardinier­e. Poi un tetto. Restava il problema delle spese immediate: hanno organizzat­o una cena per tirare su qualche euro e fargli passare le feste».

Eppure, la serata di solidariet­à era nel nome del «Capo»... «Figurarsi, è un’esagerazio­ne. Hanno fatto tutto loro. Però, in questa cosa credo. Una persona sola può fare poco, ma mettercisi, parlare, permette di trovare altre persone che prendono a cuore una storia. E qualche cosa si riesce a risolvere».Bossi ammette che a colpirlo è stata quella disperazio­ne silenziosa. «La sua non era rabbia. Era proprio la disperazio­ne di chi non sa da che parte sbattere. Che non vede come uscire dalla sua situazione e arriva alla paralisi. Ettore è stato fortunato, aveva qualche vecchio amico che sapeva della sua serietà. Ma non avrebbe chiesto aiuto. E magari una mattina lo avrebbero trovato in riva al lago... ».

Eppure, forse questa storia può funzionare solo in realtà piccole come i paesi ben tenuti tra i laghi varesini. «Forse. Magari nelle città la disperazio­ne diventa rabbia. Qualcuno diventa terrorista, anche. Il terrorismo non nasce sui barconi degli immigrati. Nasce qui, da chi non vede possibilit­à... Però non creda. I paesi sono tenuti bene, ma quelli come Ettore sono aumentati enormement­e. Gente che non sa come sopravvive­re. Cominciano a non poter pagare le bollette, a togliersi tutto, mentre magari i vicini non se ne accorgono. Ma la gente, da sola, non riesce a ripartire. Ce la può fare se qualcuno gli dà una spinta. Quello che faremo noi».

Ha fatto l’operaio da queste parti. Poi ha aperto un ristorante in cui ha messo tutto ma non ha funzionato e lui si è ritrovato senza niente: senza casa, senza lavoro, senza soldi

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(foto Cavicchi) Stretta di mano Umberto Bossi con Ettore, ex senzatetto

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