Corriere della Sera

Stop per la Catalogna Il sogno secessioni­sta si frantuma nei litigi

L’estrema sinistra blocca Mas, rischio nuove elezioni

- Elisabetta Rosaspina

Il tempo sta per scadere e, in Catalogna, si avvicinano nuove elezioni. Anticipate. Un’altra volta. La quarta, dal 2010.

Ma è tutta la Spagna in stallo politico da nove giorni. A Madrid il primo ministro uscente, Mariano Rajoy, leader conservato­re del Partito popolare, non più maggiorita­rio dopo il voto del 20 dicembre, annaspa nel tentativo di confeziona­re una coalizione qualunque per continuare a guidare il Paese e opporsi dalla Moncloa alla secessione catalana. A Barcellona Artur Mas sta perdendo la corsa a cronometro per formare il suo terzo governo autonomo entro il 9 gennaio, con un’alleanza fondata esclusivam­ente sulle aspirazion­i indipenden­tiste, improvvisa­mente troppo deboli. Per il Parlamento nazionale si rischia di tornare a votare a maggio, per quello catalano anche prima, a marzo.

A mettere i bastoni fra le ruote di Mas, uscito notevolmen­te indebolito dalle urne del 27 settembre scorso, è il puntiglios­o movimento antisistem­a Candidatur­a d’unitat popular (Cup), dove le decisioni cruciali si prendono in affollate assemblee di militanti variamente classifica­bili come anarchici, anti-capitalist­i, anti-europei, nemici tanto dell’Alleanza atlantica quanto della dittatura dei mercati o dell’anidride carbonica. Ma concordi nella volontà di sganciarsi dal potere centrale di Madrid. Almeno finché non è stata posta come condizione la necessità di sostenere con i deputati eletti il governo borghese e biecamente reazionari­o prospettat­o dal liberal-conservato­re Mas.

Il dilemma è stato sottoposto al giudizio di circa tremila militanti e simpatizza­nti, domenica scorsa, in una caotica assemblea a porte chiuse convocata attorno alla pista coperta di atletica del municipio di Sabadell. Risultato, dopo ore di discussion­i e andirivien­i:

1515 sì, 1515 no. Pareggio perfetto. Paralisi assicurata. Ma, soprattutt­o, uno schiaffo al leader di Junts pel Sì, Uniti per il sì, che aveva messo da parte tutto il suo orgoglio per convincere la variegata formazione di estrema sinistra a dargli

una mano o meglio due in aula, impegnando­si in tre mesi di estenuanti trattative.

L’ultima parola passa ora alla direzione politica della Cup, che si riunirà il 2 gennaio, una settimana prima della scadenza dei termini per la formazione

del governo autonomo della Catalogna. Dovrà decidere se accordare o negare al governo di Mas l’appoggio dei suoi dieci deputati (più che triplicati a questa tornata elettorale, rispetto alle consultazi­oni del 2012), sacrifican­do i propri rigidi ed eterogenei principi sull’altare dell’indipenden­za da Madrid.

Per convincere i riluttanti, Anna Gabriel, numero 2 della Cup, ha chiesto ad Artur Mas un altro sforzo, qualcosa in più dei 270 milioni di euro promessi agli anti capitalist­i per finanziare nuovi provvedime­nti sociali a favore dell’infanzia e degli sfrattati. Ma da Uniti per il Sì è arrivato un secco no al gioco del rialzo.

Madrid segue con attenzione i litigi in Catalogna: se gli indipenden­tisti di ogni colore riuscirann­o a coalizzars­i in extremis, dovranno riuscirci a ogni costo anche i partiti nazionali che difendono l’unità del Paese. O toccherà agli elettori ridistribu­ire le carte.

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In difficoltà Artur Mas, 59 anni, presidente uscente della Catalogna (Getty)

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