Stop per la Catalogna Il sogno secessionista si frantuma nei litigi
L’estrema sinistra blocca Mas, rischio nuove elezioni
Il tempo sta per scadere e, in Catalogna, si avvicinano nuove elezioni. Anticipate. Un’altra volta. La quarta, dal 2010.
Ma è tutta la Spagna in stallo politico da nove giorni. A Madrid il primo ministro uscente, Mariano Rajoy, leader conservatore del Partito popolare, non più maggioritario dopo il voto del 20 dicembre, annaspa nel tentativo di confezionare una coalizione qualunque per continuare a guidare il Paese e opporsi dalla Moncloa alla secessione catalana. A Barcellona Artur Mas sta perdendo la corsa a cronometro per formare il suo terzo governo autonomo entro il 9 gennaio, con un’alleanza fondata esclusivamente sulle aspirazioni indipendentiste, improvvisamente troppo deboli. Per il Parlamento nazionale si rischia di tornare a votare a maggio, per quello catalano anche prima, a marzo.
A mettere i bastoni fra le ruote di Mas, uscito notevolmente indebolito dalle urne del 27 settembre scorso, è il puntiglioso movimento antisistema Candidatura d’unitat popular (Cup), dove le decisioni cruciali si prendono in affollate assemblee di militanti variamente classificabili come anarchici, anti-capitalisti, anti-europei, nemici tanto dell’Alleanza atlantica quanto della dittatura dei mercati o dell’anidride carbonica. Ma concordi nella volontà di sganciarsi dal potere centrale di Madrid. Almeno finché non è stata posta come condizione la necessità di sostenere con i deputati eletti il governo borghese e biecamente reazionario prospettato dal liberal-conservatore Mas.
Il dilemma è stato sottoposto al giudizio di circa tremila militanti e simpatizzanti, domenica scorsa, in una caotica assemblea a porte chiuse convocata attorno alla pista coperta di atletica del municipio di Sabadell. Risultato, dopo ore di discussioni e andirivieni:
1515 sì, 1515 no. Pareggio perfetto. Paralisi assicurata. Ma, soprattutto, uno schiaffo al leader di Junts pel Sì, Uniti per il sì, che aveva messo da parte tutto il suo orgoglio per convincere la variegata formazione di estrema sinistra a dargli
una mano o meglio due in aula, impegnandosi in tre mesi di estenuanti trattative.
L’ultima parola passa ora alla direzione politica della Cup, che si riunirà il 2 gennaio, una settimana prima della scadenza dei termini per la formazione
del governo autonomo della Catalogna. Dovrà decidere se accordare o negare al governo di Mas l’appoggio dei suoi dieci deputati (più che triplicati a questa tornata elettorale, rispetto alle consultazioni del 2012), sacrificando i propri rigidi ed eterogenei principi sull’altare dell’indipendenza da Madrid.
Per convincere i riluttanti, Anna Gabriel, numero 2 della Cup, ha chiesto ad Artur Mas un altro sforzo, qualcosa in più dei 270 milioni di euro promessi agli anti capitalisti per finanziare nuovi provvedimenti sociali a favore dell’infanzia e degli sfrattati. Ma da Uniti per il Sì è arrivato un secco no al gioco del rialzo.
Madrid segue con attenzione i litigi in Catalogna: se gli indipendentisti di ogni colore riusciranno a coalizzarsi in extremis, dovranno riuscirci a ogni costo anche i partiti nazionali che difendono l’unità del Paese. O toccherà agli elettori ridistribuire le carte.