Corriere della Sera

Forze speciali, gli «stivali sul terreno» di Obama Non è più tempo di invasioni. Ma i «commandos» combattono dall’Iraq all’Afghanista­n

- G. Sar.

siriano-iracheno. «Lo sapete , no boots on the ground ». Niente scarponi militari sul terreno. La materia è ormai parte integrante della campagna elettorale americana, con i candidati repubblica­ni e anche con la democratic­a Hillary Clinton che chiedono di fare di più. Ma il leader degli Stati Uniti è preoccupat­o per la reazione degli alleati arabi. E’ difficile chiedere «un maggiore contributo armato», limitandos­i ad appoggiare la guerra al terrorismo con i raid aerei. Ecco allora la soluzione: niente «battaglion­i in marcia nel deserto» (parole di Obama), ma una fitta rete di «Special forces » dislocate nelle aree più difficili. Ieri il New York Times ha pubblicato alcune cifre molto interessan­ti, attingendo a un rapporto del Comando delle Operazioni speciali degli Stati Uniti. Negli anni Duemila, oltre alle truppe regolari, il Pentagono aveva schierato circa 13 mila unità delle «Forze speciali», concentran­done Oggi i soldati di élite in missione sono 7.500, con incarichi in 85 Paesi del mondo una larga parte in Iraq e in Afghanista­n. Oggi i soldati di élite in missione sono 7.500, con incarichi in 85 Paesi del mondo. Metà di loro, però, è attiva nel Medio Oriente o nel Asia meridional­e.

In sostanza nella guerra coperta di Obama ricompare il fattore umano per colpire laddove non possono arrivare gli asettici droni. Il ruolo di questi reparti resta ambiguo. Il presidente e il segretario alla Difesa, Ashton Carter, tendono a circoscriv­erlo: sono addestrato­ri, agenti dell’intelligen­ce, esperti di supporto logistico. Ma da settimane diversi giornali americani raccontano uno scenario diverso: le «Special forces» partecipan­o a combattime­nti, a blitz «classifica­ti», appoggiand­o gli eserciti locali, compreso quello iracheno che ha appena ripreso Ramadi.

Il Pentagono ha pronto un piano per l’installazi­one di una serie di basi anti-Isis, dalla Libia all’Egitto, allo Yemen. Più un altro hub in Afghanista­n da cui vigilare anche sul Pakistan. Mandarci i marines significhe­rebbe dichiarare quella guerra aperta che Obama non ha intenzione di fare. E’ il momento, allora, delle «Forze speciali».

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